Luogo sicuro o focolaio? La scienza divisa sulla scuola

Da un anno ormai, dall’inizio della pandemia, una delle domande principali è legata alla sicurezza della scuola. In 12 mesi e conoscenza del Covid infatti nessuno è in grado di dire se le classi dove ogni giorno milioni di bambini e ragazzi vanno siano un posto protetto oppure sia luogo dove divampano i contagi.

Alcuni studi, portati ad esempio da chi vorrebbe una riapertura molto rapida delle scuole, sostengono che se le norme di sicurezza previste fossero rispettate le aule non sarebbero causa dell’aumento dei contagi.

Le cose però sembrano essere cambiate, soprattutto dopo la comparsa delle varianti, come quella inglese, molto più contagiosa rispetto al virus originale. E così la scuola, soprattutto negli ultimi mesi, sarebbe diventata veicolo perfetto per il contagio.

È l’opinione di Davide Tosi ricercatore dell’Università dell’Insubria che insieme ad Alessandro Sirocampi del Politecnico di Milano, con un loro studio sono arrivati a questa conclusione «Il virus trova terreno fertile per il contagio in ambienti chiusi, molto popolati, scarsamente ventilati come i nostri ambienti scolastici che non sono tra i più moderni d’Europa. Quindi, pensare che la scuola sia un ambiente sicuro per definizione è sbagliato perché ha provocato e sarà causa di diffusione incontrollata»

In Italia l’esplosione esponenziale dei contagi per la cosiddetta seconda ondata è iniziata il 28 settembre, quindi esattamente due settimane dopo la riapertura delle scuole italiane. Nel periodo 14 settembre – 30 ottobre si parla di circa 65.000 casi individuati nella scuola primaria e secondaria di primo grado. Dati sottostimati perché non tutte le scuole italiane hanno partecipato a questa attività di tracciamento (solo il 38%) e non tutte le scuole hanno rilasciato i propri dati al ministero. Va inoltre considerato che il 75% dei minori di 18 anni è asintomatico e questa grande fetta di giovani si perde nell’attività di tracciamento.

La scuola è quindi una delle cause dell’aumento dei contagi?

«Ne siamo convinti. Il nostro studio dimostra che le regioni e le province che hanno mantenuto le scuole aperte hanno avuto contagi maggiori. I focolai nelle scuole sono poi esplosi sui territori. È accaduto invece il contrario nelle città dove le scuole sono state chiuse. È importante partire da questo per andare a mettere in sicurezza le scuole e gli operatori scolastici – spiega Davide Tosi – si continua a dire che le scuole sono sicure per creare l’alibi per non intervenire. Dalle nostre analisi le scuole come tutti gli ambienti chiusi contribuiscono a diffondere il virus».

Quali misure andrebbero prese per evitare i contagi?

«Ci vorrebbero meno ragazzi in aula, un meccanismo di ventilazione adeguato naturale o artificiale, Testing e Tracing seri, il potenziamento dei mezzi di trasporto e una didattica mista tra attività online e in presenza. La Dad ci ha dato gli strumenti per tenere i ragazzi attivi e aggiornati. Non ritengo un dramma che passino qualche ora davanti ad uno schermo per fare lezione, quando sono abituati a passare diverse molto tempo davanti ad uno smartphone.»

Lo studio

Lo studio dei due ricercatori condotto in Lombardia, Campania ed Emilia Romagna ha mostrato una chiara correlazione tra il contagio scolastico e il successivo contagio in un’area geografica. In questo lavoro si sono analizzati i dati sulla diffusione del COVID-19 al fine di identificare il driver che ha innescato la seconda ondata in regioni che hanno adottato approcci diversi di apertura e chiusura delle scuole. I dati sulla crescita delle infezioni per fasce di età dall’inizio di settembre a marzo, pubblicati settimanalmente nei rapporti epidemiologici della ISS, indicano che la fascia di età 0-9 ha avuto una crescita compresa tra 6 e 10 volte superiore a tutte le altre fasce. I dati mostrano inoltre che dal 29 dicembre al 10 marzo dello scorso anno i contagi sono aumentati dell’83,44% nella fascia compresa tra 0 e 9 anni e il 63,55% in quella tra 10 e 19 anni. L’età scolare è quindi quella in cui il contagio è cresciuto di più.

Andamento dei contagi tra il 29 dicembre 2020 e il 10 marzo 2021

Guardando i dati e le dichiarazioni dei paesi vicini e con caratteristiche demografiche simili all’Italia la situazione pare evidente su quanto le scuole siano driver di contagio:

In Francia le scuole e le università sono state indicate come il primo fattore di focolai attivi

• Nel Regno Unito, la scuola primaria e secondaria, dopo un’attenta tracciabilità, era al terzo posto per numero di segnalazioni

• In Germania, la scuola è stata recentemente dichiarata ad alto rischio come affermato anche da Angela Merkel all’inizio di febbraio

• In Austria, un nuovo studio, pubblicato alla fine di gennaio ha dimostrato che 3/4 dei contagi sono stati persi nel mancato screening scolastico

• Diversi articoli (recentemente apparsi su Lancet, Nature and Science), pur con tutti i limiti dichiarati nei lavori, dimostrano che la chiusura delle scuole è il secondo fattore più impattante

• La Regione Lazio è stata colpita da uno stato di emergenza a causa dell’impatto del contagio scolastico

• Inoltre il 75% dei positivi nella fascia di età dei giovani sotto i 19 anni sono quindi asintomatici portatore inconsapevole del virus all’interno delle mura familiari [fonte ISS]

Osservazione delle curve

Il modello dello studio si basa sull’ipotesi che le scuole siano un importante motore di contagio. Inoltre l’impatto maggiore avviene in un secondo momento all’interno del contesto familiare dopo circa due cicli di incubazione del virus. Questo spiega perché è stato utilizzato un intervallo di tempo di 14 giorni, nel modello predittivo. In questo lavoro sono stati analizzati i pochi dati ufficiali del MIUR disponibili sul contagio a scuola.

A dicembre il MIUR ha pubblicato un dataset relativo ai contagi nelle scuole (unendo diverse raccolte dati) per il periodo 14 settembre – 30 ottobre. Il rapporto parla di circa 65.000 casi individuati della scuola primaria e secondaria di primo grado (la maggior parte delle scuole superiori erano in didattica a distanza) ma sono sottostimati perché non tutte le scuole italiane hanno partecipato a questa attività di tracciamento e non tutte le scuole hanno rilasciato i propri dati al ministero.

Va inoltre considerato che il 75% dei minori di 18 anni è asintomatico e questa grande fetta di giovani si perde nell’attività di tracciamento. 65.000 casi su 360.000 casi totali rilevati nello stesso periodo sono una percentuale considerevole del 18% del totale.

Indice di correlazione

Con i dati rilasciati ufficialmente dal MIUR è stata svolta un’analisi di correlazione su Lombardia e Campania, due regioni che hanno adottato politiche diverse di apertura e chiusura delle scuole ed Emilia Romagna che ha seguito una strategia di apertura/ chiusura simile a quella applicata alla Lombardia (ovvero scuole primarie e secondarie aperte con frequenza e scuole secondarie al 50% di frequenza).

La Lombardia ha 12 province per un totale di 10 milioni di abitanti, la Campania 5 province con 5,8 milioni di abitanti e l’Emilia Romagna ha 9 province e una popolazione totale di 4,5 milioni di abitanti. Questo l’indice di correlazione:

Per quanto riguarda la Regione Lombardia i casi individuati sono circa 14.000 su 88.500 casi totali (15,8%), nel periodo di riferimento 14 settembre – 30 ottobre.

Nella Regione Campania i casi individuati sono 4.620 circa su 42.815 casi totali (10,8%). È importante ricordare come Lombardia e Campania hanno utilizzato ad ottobre diverse politiche scolastiche, la prima lasciando le scuole primarie e secondarie aperte alla frequenza e le secondarie al 50% di frequenza mentre la Campania intervenendo invece con chiusure mirate a partire dal 16 ottobre e fino al 13 novembre.

Infine in Emilia Romagna i casi identificati sono circa 3.050 su 19.670 casi totali (15,5%), nel periodo di riferimento.

Questi i dati. La palla passa ora al Ministero ed al Governo che dovrà decidere dell’eventuale ritorno in classe dopo Pasqua dei nostri ragazzi. Serve una decisione per uscire da questo caos.

Leggi su panorama.it