sabato, 18 Gennaio 2025
Man of Steel: i 10 anni di un Superman divisivo
Ora che il suo corso è stato definitivamente messo da parte, ora che le idee di Snyder, ora che il Clark Kent di Henry Cavill appartengono definitivamente ad un passato morto e sepolto, il film del 2013, reboot del franchise sull’Uomo d’Acciaio, assume un valore molto diverso, è bene o male storia del genere.
Quando uscì, 10 anni fa esatti, Man of Steel lasciò la critica e il pubblico divisi, il botteghino andò bene ma non secondo le aspettative, di fatto aprì quel corso de DC Cinematic Universe, che poi sarebbe naufragato tra critiche, cambi al vertice e una confusione a dir poco immensa. Eppure, in qualche modo, questo film non lascia indifferenti.
La scelta di un Superman diverso dal prevedibile
Fu Goyer a pensare per primo ad un modo per creare un Superman che diventasse ciò che Richard Donner aveva creato negli anni ’70 e ’80. Ne parlò con Christopher Nolan mentre ultimavano le riprese della Trilogia su Batman e il regista fu affascinato dall’idea, dal concept, dalla volontà di riportare in vita un personaggio così iconico ma anche così problematico, così legato ad un’era molto particolare del cinema.
Man of Steel fu inizialmente connesso alla volontà di recuperare alcuni elementi iconici delle linee narrative classiche da parte di Grant Morrison, Mark Waid, Geoff Johns e Brad Meltzer. Si pensò ad una trilogia, si scomodò il paragone con Il Padrino, si pensò di sposare in pieno la Golden Age del personaggio, ma Nolan e Goyer volevano invece qualcosa che rappresentasse appieno gli anni 2000 ma soprattutto umanizzare maggiormente il personaggio. Erano fan di Superman Returns, ma dovettero anche tener conto del fallimento del film, che suggeriva come riciclare in toto le atmosfere di Donner non fosse un’idea vincente. Serviva una nuova lettura del personaggio per un nuovo pubblico. Ecco perché la linea narrativa non lineare, anche per adeguarsi alla Marvel e a come aveva rivoluzionato il genere. Il rapporto tra questo Superman e il MCU in realtà è stato molto più profondo di quanto sembrasse, perché nella mente di Snyder, doveva fare ciò che Iron Man aveva fatto: attivare un interesse per il pubblico e aprire la strada ad altri film, che componessero un universo cinematografico capace di riportare la DC ai fasti che proprio Nolan (qui produttore) aveva saputo creare con la sua trilogia. Forse l’errore fu dare per scontato che un cineasta come Snyder potesse essere trasversalmente apprezzato? Col senno di poi è facile dirlo, ma certo Snyder per ciò che aveva mostrato, con il suo stile visivamente tellurico, non poteva che essere la scelta migliore all’epoca.
Pro e contro di un film diverso da ciò che il pubblico voleva
A 10 anni di distanza una cosa però la si può dire: tra i tanti errori che Man of Steel commise, Henry Cavill non fu tra questi. Fino ad allora aveva avuto parti di rilievo in serie tv, in qualche film come personaggio di contorno, ma Man of Steel gli permise di andare oltre ciò che si pensava. Di fatto, ancora oggi, a dispetto del fallimento del progetto, lui, pur venendo infine escluso dal corso di Gunn, è stato in grado di diventare per tutti Superman, anche per chi non ha amato né questo, né i successivi film.
Al di là della possanza fisica, dell’incredibile somiglianza al personaggio, Cavill aveva quella luminosità, quello charme sotto le righe, quel personificare in pieno la bontà, il coraggio, la purezza d’animo di un ragazzo cresciuto come umano ma che in realtà era un alieno ancora in dubbio su quale fosse il suo mondo e la sua identità vera. Man of Steel fece di Cavill il portatore dello stesso disagio esistenziale, della stessa tematica del “mostro-eroe” che Nolan aveva applicato al Cavaliere Oscuro, in universo parimenti diviso tra tenebre e luce, dai toni sovente apocalittici. Fu forse questo il vero errore, non tanto il tema della solitudine dell’eroe, che Snyder riprese da Sofocle, coerentemente con il titanismo degli eroi DC, molto più “elevati”, tragici e carichi di dramma e battaglie rispetto agli Avengers. La fotografia di Amir Mokri, i costumi di James Acheson e Michael Wilkinson (che però indovinarono tutto nel cambiare la suite di Superman), le scenografie di Alex McDowell, generarono un senso di oppressione, di pessimismo e di dramma, che a parte del pubblico (quasi tutto under 25 e abituato alla perenne allegria MCU) non piacque molto.
Questo unito ad una visione del concetto di supereroe non come scanzonato avventuriero alla Flynn, ma come essere mitologico diviso e senza pace. Affascinante, ma per pochi.
L’eredità di un incipit divisivo
Man of Steel ebbe nello Zod di Michael Shannon un villain incredibile. Falso umile, di base ispirato alle Waffen SS e al loro credo sado-maso mortuario, fu il perfetto alter ego alla spontaneità ancora istintiva di Cavill. Molto indovinato il casting di Russell Crowe come Jor-El, in perfetta contrapposizione con il suo carisma, la sua ambizione, all’umanità pura e semplice di Jonathan Kent, a cui Kevin Costner seppe dare non solo uno spirito molto “americano”. Il suo fondersi con Crowe per indicare le due possibili strade per Clark/Kal-El, rimane affascinante come concetto. Una strada, quella di Jor-El, è quella di elevarsi, essere guida e faro e protettore per l’umanità. L’altra è nascondersi perché diverso, quindi odiato per automatismo dal resto della società. La morte Jonathan Kent, come fu concepita, fu un errore narrativo macroscopico ma non un errore semantico o di coerenza. Il figlio ancora “umano”, succube del padre che per proteggerlo lo vuole nascondere, non mostra i suoi poteri perché il padre, figura comunque ingombrante, glielo impone. Metafora, anch’essa legata alla mitologia sia greca che cristiana, del sacrificio, della morte del padre come liberazione del figlio, è uno dei tanti elementi che rendono Man of Steel forse non un grande film su Superman, ma un ottimo film su un supereroe. Con una colonna sonora magnifica di Hans Zimmer, una visione del figlio di Krypton purificata dal buonismo degli anni ’70, ci dona un protagonista che è figlio degli anni 2000: erano anni fatti di terrorismo, guerre, crisi economica, razzismo, paura e conflittualità. Si può ragionare che non fosse ciò che il pubblico, questo animale strano, volesse, ma non che non continui ad esercitare un fascino assurdo, per quanto imperfetto. E dopo 10 anni, rimane di gran lunga superiore per tanti elementi e per audacia a ciò che il MCU da Infinity War in poi ha fatto su grande e piccolo schermo.
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