mercoledì, 27 Novembre 2024
«Mariti, picchiate le vostre mogli indisciplinate», lo dice il ministro della Malesia, donna
Il viceministro donna del Governo malese è stata accusata di voler normalizzare la violenza domestica dopo che in un video pubblicato su Instagram, ha incoraggiato i mariti a picchiare le loro mogli «testarde» nel caso che il loro comportamento continui a deluderli. Siti Zailah che ha fornito quelli che ha definito «consigli» per i mariti che hanno a che fare con partner «indisciplinati» ha suggerito un approccio in tre fasi per i mariti «nella gestione delle mogli difficili»; per prima cosa occorre parlare loro e informarle del loro bisogno di maggiore disciplina, poi se questo non dovesse avere successo, per il viceministro del Paese islamico per il quale si occupa di donne, famiglia e lo sviluppo della comunità, consiglia ai mariti di dormire separati dalle mogli per tre notti per mostrare la loro insoddisfazione per il comportamento del loro partner. E se la moglie continua a essere «indisciplinata» e si rifiuta di seguire il consiglio del coniuge? Nessun dubbio per Siti Zailah Mohd Yusoff perché «se non cambia il suo comportamento, o fa cose contro i comandi di Allah dopo la separazione nel sonno, allora i mariti possono provare l’approccio del tocco fisico, colpendola delicatamente, per mostrare la severità e come tanto vuole che lei cambi».
Il viceministro per le donne e la famiglia ha anche offerto alcune perle di saggezza alle mogli, suggerendo che parlino ai loro mariti solo quando «sono calmi, quando hanno finito di mangiare, hanno pregato e sono rilassati» e «quando vogliamo parlare, prima chiedi il permesso», ha aggiunto Siti Zailah. Se le sue parole sono state applaudite da coloro che trattano le donne come animali domestici come accade oggi in Afghanistan e in altri Paesi islamici dove per essere uccise sul posto è sufficiente parlare con un uomo che non sia il fratello o il padre, le farneticazioni del viceministro donna del Governo malese hanno provocato un vero terremoto.
Unanime condanna è stata espressa dai gruppi per i diritti delle donne nel Paese, inclusa la coalizione di molte organizzazioni, il Joint Action Group for Gender Equality, che ha chiesto le immediate dimissioni di Siti Zailah dal Governo malese: «Il viceministro deve dimettersi per aver normalizzato la violenza domestica, che è un crimine in Malesia, nonché per aver perpetuato idee e comportamenti contrari all’uguaglianza di genere» -si legge in una dichiarazione congiunta- «Spesso c’è uno stigma e una paura legati alla denuncia di violenza domestica e questo è aggravato da dichiarazioni come quelle di Siti Zailah», ha aggiunto il gruppo. Non c’è da stupirsi, per quanto accaduto perché in Malesia il clima politico e sociale è molto pesante e non da oggi. Già nel 2013, il Pew Global Attitudes Survey informava che un quarto dei musulmani malesi (27%) riteneva che gli attacchi ai civili «siano talvolta o spesso giustificati».
A questi, si aggiungeva un 12% degli intervistati secondo cui «la violenza è giustificata raramente in difesa dell’Islam». Sommando i dati della ricerca, emergeva dunque come il 40% circa dei musulmani malesi intervistati pensasse che la violenza possa essere in qualche modo giustificata contro i nemici dell’Islam. Oggi non sembra diminuito il sostegno all’Islam radicale da parte della popolazione, considerate le manifestazioni di piazza traboccanti di manifestanti furibondi, che chiedono a gran voce l’introduzione della Sharia in Malesia. A questo vanno aggiunte le attività di milizie come la Jawi, che si occupano della «prevenzione del vizio» facendo cose come irrompere in gruppo negli hotel o nei ristoranti nel giorno San Valentino, a caccia di coppie di amanti etero od omosessuali da punire.
Senza dimenticare il potentissimo Dipartimento per lo sviluppo islamico della Malesia, l’onnipresente Jakim, che corrisponde a un’autorità religiosa che interviene su tutto: dalla censura dei libri al divieto di utilizzo della parole come hot dog. Il dog, in particolare, ossia il cane è considerate animale impuro per l’Islam; quindi è una parola che non si dovrebbe nemmeno scrivere. Nella lunga lista dei divieti, si trova anche la proibizione per i non musulmani circa l’uso della parola «Allah». Non è quindi un caso che l’estremista tedesco-palestinese Ibrahim Abou Nagie, fondatore del gruppo di predicazione salafita Die Wahre Religion – LIES! (messo fuorilegge in Germania e Austria per le sue attività di supporto ai gruppi terroristici), abbia scelto proprio la Malesia come epicentro dei suoi affari.