domenica, 24 Novembre 2024
Maura Delpero, ‘il mio cinema non è difficile, parla al cuore’
(dell’inviata Alessandra Magliaro) “Lo hanno proprio capito
tutti”: questo, dice Maura Delpero con Vermiglio Leone d’argento
– Gran Premio della giuria a Venezia 81, è il commento che le ha
fatto Giuseppe Tornatore, membro della giuria presieduta da
Isabelle Huppert che ha premiato la regista italiana nella notte
che ha incoronato Pedro Almodovar, Leone d’oro per La stanza
accanto. “Mi è arrivata l’unanimità del giudizio su Vermiglio,
non penso che l’aspetto dell’italianità sia stato fondamentale”,
aggiunge, felice che Huppert le abbia detto di “aver portato la
poesia in immagini”.
Il giorno dopo il Leone d’Argento è un bel risveglio, “domani
parto per il festival di Toronto e poi accompagnerò in sala
Vermiglio – prodotto da Cinedora e Rai Cinema, esce con Lucky
Red il 19 settembre, ndr – e negli altri festival che lo stanno
selezionando”. Potrebbe essere candidato italiano all’Oscar
internazionale? Nulla di certo (e c’è Parthenope di Paolo
Sorrentino in pole) ma la regista risponde con un ‘perché no? Mi
piacerebbe’.
Nata a Bolzano, studi a Bologna, si dichiara “autodidatta”
cresciuta “bulimicamente con i film della Cineteca di Bologna”,
ha vissuto in Francia, parla cinque lingue e ora vive tra Italia
e Argentina, a Buenos Aires con il marito attore argentino e la
figlia piccola, presente in una scena di Vermiglio. Dal palco
della sala grande ieri sera nel discorso di ringraziamento ha
parlato anche del tema della conciliazione lavoro-famiglia: “Ci
vorrebbe uno scatto della società, un pensiero serio su come non
lasciare sole le donne. La mia è solo una piccola esperienza,
ogni giorno ho allattato sul set ma è un esempio di quello che
succede. Quando ho cominciato mi sono sentita dire che darsi un
lavoro maschile forse avrebbe richiesto di rinunciare alla
famiglia ma non è giusto”.
Il tema delle uguaglianze e della democrazia non solo nel
genere maschile-femminile ma in generale, Maura Delpero lo sente
molto. “Spero in un futuro di storie più paritarie, in cui non
c’è più un punto di vista di genere, ma il punto di vista
dell’autore e basta e spero che questo movimento di
rinnovamento, pure se si muove goffamente, magari facendo
errori, porti a scardinare il cinema come universo maschile,
bianco, ricco, del Primo mondo”.
La regista che ha realizzato Vermiglio, coproduzione
Italia-Francia-Belgio, anche con la neonata società Cinedora di
cui è fondatrice, con appena 4 milioni di budget, rivendica la
sua idea di cinema ‘autentico’, ‘indipendente’. Fa riferimento
ad Olmi, a Vittorio De Sica, a Tarkovskij e a Michael Haneke.
Racconta la storia di una ragazza che nell’ultimo anno della
seconda guerra mondiale nel paesino di montagna di Vermiglio in
Val di Sole, in una grande famiglia con un patriarca a dare gli
insegnamenti e le regole (il maestro del paese Tommaso Ragno),
si innamora di un soldato disertore rifugiato lì e resta
incinta. E così per un paradosso del destino il paese perde la
pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria.
Un film in dialetto, per il quale Delpero ha scelto una ad
una le comparse conosciute sul posto in un lavoro preliminare
lunghissimo, è un film lontano dai modi consueti di girare. Un
cinema difficile? “Non ho consapevolezza di quanto sia
difficile, per me invece è facilissimo. Ho grande fiducia nello
spettatore attento, attivo. Non demonizzo il cinema
intrattenimento, sia chiaro, ma io stessa non vado al cinema per
essere presa per mano, ma per sentire l’esperienza creativa che
c’è dall’altra parte, è cercare emozioni del cuore e della
mente”.
Un cinema libero? “Non è mai veramente libero – risponde
all’ANSA – perchè il controllo assoluto non è possibile, ho
tagliato scene, ho fatto i conti con condizioni impreviste, sono
altre le arti più libere del cinema che coinvolge tante
persone”.
In un percorso “cominciato da adulta” a 28 anni, e in cui
Maura Delpero si butta “a testa bassa, perchè mi piace da matti
e voglio continuare a farlo in questo modo”, ecco che il
prestigioso secondo premio di Venezia, più che per se stessa è
per gli altri, “è una iniezione di fiducia degli altri verso il
mio lavoro. Non escludo di diversificare la produzione, ma ho
già rifiutato cose su commissione in cui non credevo.
Difficilmente accetterò cose lontane da me”.
E questo è un po’ quello per cui ha ringraziato ieri sera, la
possibilità cioè, attraverso il finanziamento pubblico, di fare
un cinema indipendente non legato a logiche commerciali, un
invito rivolto alla platea dei cineasti in cui era seduto il neo
ministro della Cultura Alessandro Giuli.
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