Midnight Mass, l’horror adulto e struggente di Mike Flanagan – Recensione

Midnight Mass

I generi si confermano uno spazio “anarchico” dove riflettere sui nostri fantasmi (personali, sociali, politici, economici) senza grandi censure o costrizioni, ma lasciando che essi diventino simboli con cui dobbiamo fare i conti. L’horror, nello specifico, sfrutta i miti del folclore popolare per innescare una presa di coscienza su di noi, sul nostro presente, sui legami che stringiamo con il prossimo e sull’odio che talvolta ci divide. Mike Flanagan è molto bravo a lavorare su questo aspetto: l’ha dimostrato soprattutto nelle sue epopee seriali, The Haunting of Hill House e The Haunting of Bly Manor, uscite entrambe su Netflix. Ebbene, Midnight Mass rappresenta un ulteriore passo in quella direzione, ma stavolta non si tratta di un franchise preesistente o di un adattamento, bensì di una sua creazione originale.

In effetti, era dai tempi di Somnia che Flanagan non affrontava un soggetto nuovo, per quanto sia Hill House sia Bly Manor avessero molti elementi originali. Midnight Mass è invece l’opposto: un frutto dell’inventiva del regista, certo, ma legato all’immaginario del suo nume tutelare, Stephen King, da cui scaturiscono alcuni elementi fondamentali.

Cose miracolose

Senza svelare troppi dettagli, sappiate che la storia è ambientata su Crockett Island, una piccola isola al largo delle coste statunitensi. È abitata solo da 127 persone, molte delle quali hanno smesso di frequentare la chiesa di San Patrizio, che un tempo era il centro della comunità. Tra di esse c’è Riley Flynn (Zach Gilford), tornato sull’isola dopo quattro anni di carcere per aver travolto e ucciso una ragazza mentre guidava in stato di ebbrezza. La sua famiglia è molto credente, ma lui non più. Quattro anni di letture e riflessioni l’hanno reso ateo. Ciononostante, accetta di accompagnare i genitori a messa, dove il fratellino Warren (Igby Rigney) fa da chierichetto per il nuovo sacerdote, Padre Paul (Hamish Linkalter). Quest’ultimo è appena giunto dal continente per sostituire l’ottantenne Monsignor Pruitt, ricoverato in ospedale dopo una visita in Terra Santa.

La comunità non attraversa un bel periodo: il naufragio di una petroliera ha inquinato le acque, i risarcimenti non sono bastati a tamponare i mancati guadagni della pesca, e molti hanno lasciato l’isola. L’entusiasmo di Padre Paul sembra però accendere un barlume di speranza, e viene accolto bene anche da Bev Keane (Samantha Sloyan), devota al limite del fanatismo, che assiste il sacerdote nelle sue funzioni. La chiesa torna a ripopolarsi, e tra i suoi frequentatori c’è anche una vecchia amica di Riley, l’insegnante Erin Greene (Kate Siegel), incinta dopo aver lasciato un marito violento. La Dr.ssa Sarah Gunning (Annabeth Gish) si tiene alla larga dai riti religiosi, ma l’anziana madre riceve la comunione in casa. Lo sceriffo Hassan (Rahul Kohli) e il figlio Ali (Rahul Abburi) sono invece musulmani, e pregano in casa.

Padre Paul entra subito nel cuore del Crock Pack, come si definiscono gli abitanti dell’isola. Un affetto che si trasforma in devozione totale quando il sacerdote sembra compiere un vero e proprio miracolo: Leeza (Annarah Cymone), la figlia del sindaco rimasta paralizzata alle gambe, torna infatti a camminare mentre riceve la comunione. Qualcosa di straordinario sta accadendo a Crockett Island, ma la linea di demarcazione tra luce e oscurità è molto sottile.

Dio degli eserciti

Meglio tenere nascosto lo snodo centrale della trama, che dà un’impronta molto precisa alla serie di Mike Flanagan. In effetti, Midnight Mass evoca un topos della narrativa horror che il cinema e la televisione sembravano aver esaurito, ma che trova nuova linfa grazie a un’interpretazione meditata e brillante. Rielaborando un mito secolare, Flanagan racconta il declino della church culture in un paese dove moltissime chiese non possono più permettersi di rimanere aperte, e persino chi si definisce “cristiano” non le frequenta più. La società americana, sempre più decentrata, parcellizzata e individualista, non vede più la chiesa come il nucleo della comunità. L’edificio stesso ha perso il suo antico ruolo – anche topografico – ed è stato sostituito da altre cattedrali, più profane.

Proprio come Riley, Flanagan ha un passato da chierichetto, ma è diventato ateo. La sua è quindi una prospettiva ambivalente: è lucido e razionale, ma conosce bene il credo religioso (cattolico, in questo caso). Midnight Mass usa l’horror per mostrare come le religioni abbiano il potere di unire quanto di dividere, mentre le citazioni bibliche possono essere strumentalizzate per giustificare l’odio e la violenza. Ciò che ne risulta, soprattutto in Bev, è un ritorno al Dio vendicativo dell’Antico Testamento. Un Dio che, secondo i più ferventi cattolici della serie, è disposto a concedere molto, ma in cambio chiede un esercito; ed è quindi un Dio degli eserciti, per citare un’espressione che ricorre nella Bibbia. Anche se, in ambito cristiano, quel “Dio degli eserciti” viene interpretato come “Signore Dio dell’universo”. Da fanatica qual è, Bev interpreta le scritture in modo troppo letterale.

Spettri del passato

Bev è uno degli elementi di derivazione “kinghiana”, e infatti ricorda la terribile Mrs. Carmody di The Mist. Ma c’è molto altro: l’ambientazione in una piccola località isolata, la deriva violenta e autodistruttiva della comunità, la lotta contro l’alcolismo, i doni che si trasformano in maledizione, l’orrore che entra nel quotidiano. Midnight Mass è la creazione di un regista che ama Stephen King, ma anche un’opera molto personale, non solo per le ragioni sopracitate. Torna qui un tratto peculiare di Flanagan, ovvero il fantasma come manifestazione della colpa, un vero e proprio spettro del passato. In tal senso, il regista americano si conferma uno dei più abili nell’evocare i fantasmi, e persino nel caratterizzarli visivamente.

Ci riesce anche in virtù di un’estetica raffinata, ricca di long take e piani sequenza, senza ricorrere a un eccesso di jump scare o altre baracconate. Anzi, usa i cori e gli inni religiosi come legante, dando sempre l’impressione che Crockett Island si trovi a metà fra il piano sensibile e quello sovrasensibile. Ma non lasciatevi ingannare: l’approccio di Flanagan si conferma razionale, e la sua rilettura del mito segue quella direzione. Ciò non significa che sia freddo, tutt’altro. C’è una logica (pseudo) scientifica nella sua interpretazione di questo sottogenere, ma il contesto non è per niente algido. Anzi, Flanagan continua a usare l’horror per parlare di rapporti familiari, conflitti irrisolti, persone in cerca di appigli nella tempesta della vita. E centra alcune sequenze memorabili, dove gli struggenti monologhi di Riley ed Erin sulla morte toccano corde delicatissime. Le parabole tragiche dei personaggi – uno in particolare – non si dimenticano facilmente.

L’umanità in primo piano

Lontana dall’horror post-moderno che domina le produzioni americane dalla seconda metà degli anni Novanta, la serie riesce a essere classica e contemporanea allo stesso tempo. Classica, perché non ha bisogno del citazionismo o di riferimenti espliciti all’immaginario del pubblico, ma si regge tutta sulle sue gambe. Contemporanea, perché rielabora un topos antico (e molto inflazionato) attraverso gli occhi del presente. Se proprio si vuole spaccare il capello in quattro, ci sono un paio di snodi narrativi che risultano un po’ trascurati, ma spariscono di fronte a tutto il resto. Midnight Mass è un fulgido esempio di horror adulto, che mette l’umanità e i suoi turbamenti in primo piano. Una serie che parla di noi, a tutti noi.

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