Nel fallimento dell’Europa sui vaccini comanda ancora la Germania

Non basterà un vaccino a resuscitare l’Europa. Anzi, il pasticcio infinito di Astrazeneca, oggi bocciato definitivamente dalla Danimarca, certifica il totale fallimento della commissione europea. Quando una potenza politica reale va a trattare con le aziende farmaceutiche si pone in una condizione di superiorità, o perché le produce sul proprio territorio o perché le fa proprie, ponendo le sue condizioni alle aziende. In Europa invece abbiamo sprecato settimane a trattare sul prezzo di un vaccino oggi rifiutato da mezzo mondo. Dopo aver contato gli spiccioli mentre gli altri davano fondo alla cassa procedendo spediti, le autorità europee oggi sono corse al riparo virando su Pfizer-Biontech. Poco fa il presidente della commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’Europa ha chiuso un accordo con Pfizer per 50 milioni di dosi aggiuntive, consegnate a partire da aprile.

Dunque, dietrofront di Bruxelles. Adesso da quelle parti puntano esclusivamente sul vaccino a Rna messaggero, piuttosto che su quello a vettore virale. Le conseguenze di un simile voltafaccia saranno pesanti. Non osiamo immaginare i ritardi logistici nella campagna vaccinale, senza contare il colpo subito dallo strumento vaccini in termini di fiducia popolare.

Ricordiamoci inoltre che ci troviamo di fronte una guerra non solo sanitaria, ma anzitutto geopolitica: chi vince guadagna sfere di influenza nel mondo. E da questo punto vista è innegabile che ci stiamo prostrando anche stavolta alla linea tedesca, un’immagine questa ricorrente nella travagliata storia del nostro continente. L’idea di puntare su un vaccino prodotto da una multinazionale americana e sviluppato dalla tedesca Biontech risponde a precisi obiettivi politici. Come ha detto chiaro e tondo il ministro dello Sviluppo Economico Giorgietti, il vaccino altro non è che “una battaglia geopolitica”, nella quale l’Europa si è rimessa al traino della Germania, e l’Italia non è mai scesa in campo. Nonostante i buoni propositi.

Noialtri rischiamo infatti di restare con il cerino in mano. E il cerino in questione è il vaccino alla vaccinara osannato da Zingaretti: “Ci farà voltare pagina”, diceva. Parliamo del vaccino tricolore Spallanzani-Reithera, ancora in via di sperimentazione: dovrebbe in teoria renderci meno dipendenti dalle forniture a singhiozzo delle aziende farmaceutiche. Ma si da il caso che la tecnologia adoperata sia identica a quello del vaccino Astrazeneca. E ci si chiede che senso abbia investire, con un anno di ritardo, su una tecnica già in circolazione, per giunta al centro di polemiche planetaria sulla sua efficacia. Insomma, se il vaccino è uno strumento formidabile per esprimere il cosiddetto ‘soft power’ degli stati, nel nostro caso abbiamo esagerato: il “power” è così “soft” che nemmeno si vede.

Leggi su panorama.it