sabato, 23 Novembre 2024
Nessuno si aspetta l’apocalisse dei robot: la recensione de I Mitchell contro le macchine
Se ancora non avete imparato a essere gentili con Siri, I Mitchell contro le macchine vi darà una buona ragione per ripensarci: il film di Mike Rianda e Jeff Rowe si prende gioco della nostra ossessione per la tecnologia con il piglio grottesco dei meme, assorbendone i codici per farne omaggio e parodia.
Non a caso, la protagonista è l’adolescente Katie Mitchell, aspirante regista che proprio su internet trova sollievo dalle sue ansie sociali. Katie non si è mai sentita parte del gruppo, è sempre stata giudicata “strana” per i buffi cortometraggi che gira in casa, ma ha sempre potuto contare sul fratellino Aaron e sullo stralunato cane Monchu. Il padre Rick, appassionato di natura e bricolage, è troppo pragmatico per capirla, mentre la madre Linda, di professione insegnante, si fa in quattro per incoraggiare tutti. I Mitchell sono una famiglia strampalata e un po’ disfunzionale, ma non più di molte altre famiglie del ceto medio americano, nonostante il film cerchi di farli passare come strambi. Di certo, Rick non vincerebbe il premio di padre dell’anno: dopo una discussione con Katie, la sera prima della sua partenza per la scuola di cinema, decide di cancellarle il biglietto aereo e portarla in macchina fino in California, tutti insieme, per fare pace. Peccato che, proprio quando il viaggio sembra mettersi per il meglio, i nuovissimi robot senzienti di un colosso della tecnologia chiamato PAL si rivoltano contro l’umanità. A capo dell’insurrezione c’è la vecchia intelligenza artificiale della compagnia (una specie di Siri con molto spirito d’iniziativa), furiosa perché il suo creatore la considera obsoleta. Ben presto, i Mitchell scoprono di essere gli unici umani in libertà, e devono trovare un modo per fermare la catastrofe.
Insomma, i Monthy Python direbbero che nessuno si aspetta l’apocalisse dei robot, e infatti l’umanità è troppo assuefatta dai suoi gadget (e dal wifi) per reagire all’attacco. L’occhio satirico dei produttori Phil Lord e Chris Miller, già evidente nei due irresistibili Piovono polpette, si sposta qui sulla nostra dipendenza dalle macchine, trasformando in minaccia persino gli innocui strumenti di uso quotidiano: esemplare, in tal senso, la scena nel centro commerciale, dove la mania di inserire chip anche negli elettrodomestici (e nei giocattoli come i Furby) si rivolta contro di noi. I Mitchell contro le macchine ha il passo concitato degli altri film d’animazione prodotti o scritti dalla coppia, tra cui lo splendido Spider-Man: Un nuovo universo, e da quest’ultimo ricava uno stile grafico che simula il tratto a mano: colori sfumati sui personaggi, contorni decisi, sfondi acquerellati, innesti 2D… Sony Animation si conferma l’unico studio d’animazione hollywoodiano a sperimentare con i suoi lungometraggi, e il risultato è un impatto visivo coloratissimo e originale.
Di fatto, le soluzioni grafiche adottate da Rianda e Rowe si rivelano ideali per accogliere la contaminazione dei meme. Attraverso il filtro di Katie, la realtà si trasfigura in una sequela di immagini potenzialmente virali: la protagonista vede meme ovunque, secondo un meccanismo di associazione legato all’abitudine (con tutte quelle ore passate davanti allo schermo, distinguere il virtuale dal reale è ormai impossibile). I Mitchell contro le macchine dimostra così che i meme e il linguaggio di internet sono ormai parte integrante non solo del nostro modo di comunicare, ma anche del nostro modo di pensare. In tal senso, si tratta forse del film d’animazione che integra meglio le dinamiche dei social nell’economia del racconto, e anche nel suo apparato visuale. Non un pistolotto contro l’uso degli smartphone, ma la satira disincantata di un mondo che non potrà tornare indietro, e che produce una tecnologia sempre più alienante (non neutra come si crede). Essa può redimersi solo quando riesce a mettere in connessione la gente, e non è un caso che il titolo fosse stato cambiato in Connected prima dell’acquisizione da parte di Netflix.
Sarà proprio la tecnologia a mantenere unita la famiglia anche nel distacco, dopo gli inevitabili compromessi tra le mentalità opposte di padre e figlia. La retorica familiare è un monolite indistruttibile che non manca mai nel cinema hollywoodiano (soprattutto quello animato), ed è sempre un ritorno all’istituzione tradizionale, per quanto strampalata possa sembrare. I Mitchell contro le macchine incespica proprio quando cede alla retorica, o quando opta per strade un po’ troppo assurde o facilone. Per fortuna non succede spesso, anzi, ci pensa l’antagonista PAL (splendidamente interpretata da Olivia Colman) a demistificare le banalità. Tra gag divertenti e un ritmo a prova di deficit d’attenzione, lo spasso è garantito.