domenica, 23 Febbraio 2025
Ninjababy è semplicemente il film perfetto per difendere la 194
La storia ha risposto con la sua gelida realtà a chi l’anno scorso pensava che il Leone d’Oro dato Venezia a La scelta di Anne – L’Événement fosse una moda di comodo, un’operazione di mera facciata, per un film che non era nulla di nuovo e soprattutto nulla di attuale.
La terribile svolta negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali inerente al diritto all’aborto, ha dimostrato che invece non era così. Dalla Norvegia per parlarci di una ragazza improvvisamente incinta, arriva una commedia intelligentissima, sorprendente e fantasiosa: Ninjababy, firmata da Yngvild Sve Flikke, tratta dalla graphic novel “Fallteknik” di Inga Sætre, autrice della sceneggiatura assiema a Johan Fasting.
Senza ombra di dubbio uno dei migliori film a tema che si siano visti negli ultimi anni, mai banale, mai scontato e retorico.
Un bambino all’improvviso
Protagonista di Ninjababy è la 22enne Rakel (Kristine Kujath Thorp), ragazza alquanto incasinata e senza una chiara direzione nella sua vita, persa tra sogni, caos, umore variabile e la passione per i fumetti.
Vive assieme alla coinquilina Ingrid (Tora Christine Dietrichson), passando le giornate tra disegni, uscite serali e sbornie. Un bel giorno però Rakel scopre di essere incinta, a causa di una delle tante serate di sesso occasionale passate senza le giuste precauzioni. Se all’inizio appare se non altro abbastanza rincuorata dal fatto che il padre potrebbe essere il timido, sensibile e gentile Mos (Nader Khademi), deve invece affrontare la triste realtà: il vero padre di quella vita che le sta crescendo dentro è l’immaturo e irresponsabile “Minchia Santa” (Arthur Berning).
Che fare? Dare in adozione il bambino per non avere la vita ed i sogni condizionati? Magari alla sorellastra Mie (Silya Nymoen) che da anni un bambino vorrebbe averlo ma non ci riesce? Oppure tenerlo senza sapere come sarà il domani e se davvero è tagliata per fare la madre?
Ninjababy non pone alcun dilemma per quello che riguarda l’interruzione di gravidanza, non direttamente almeno, ma la questione emerge in modo preponderante nella mente della protagonista, riavvolgendo i fili di una gioventù che viene immancabilmente interrotta da una gravidanza che non può essere più rinviata o evitata. Se avesse fatto più attenzione sarebbe stato meglio o peggio? Che cosa rappresenta per lei quel bambino? Davvero la sua vita verrà completamente stravolta è peggiorata da quella responsabilità? Oppure è l’occasione per diventare qualcun’altra, dare una svolta alla propria esistenza e alla propria vita sentimentale? Le riposte arriveranno ma tramite modalità sorprendenti, svolte narrative inaspettate in cui l’ironia si accompagna alla malinconia, la quotidianità ad una fantasia travolgente e squisitamente irriguardosa.
Un film sulla maternità diverso dalla norma
Ninjababy a molti potrà ricordare per certi versi Juno di Jason Reitman, con l’allora Ellen Page (oggi Elliot Page) che in fin dei conti si trovava a fronteggiare una situazione quasi identica: una gravidanza non più evitabile e il dilemma su che cosa fare successivamente.
Ma se il film di Reitman bene o male distruggeva il cliché abusato del teen movie generalista, la retorica dell’adolescenza come spensieratezza, la middle class americana bianca, bigotta e ipocrita, il film della Flikke invece mira a darci uno spaccato completamente al femminile di un momento molto delicato e difficile, all’interno di una situazione esistenziale come ce ne sono tantissime anche nel nostro paese.
Qui però siamo nella civilissima Norvegia, in quel Nord Europa dove le donne sono emancipate, libere e indipendenti, ma in cui bene o male persiste la sensazione che se non si è allineati, se si è diversi dalla norma, la situazione può farsi davvero complicata e la solidarietà scompare.
Rakel ha i modi sbarazzini e vivaci di una bravissima Kristine Kujath Thorp, a cui una certa cinematografia italiana dovrebbe guardare per riuscire a capire come si può fare un vero ritratto realistico delle e dei ventenni dei nostri giorni, senza sprofondare nella banalità e nel deja vu paternalistico. Ribelle, insicura, assolutamente non alla moda, un po’ maschiaccio, è il perfetto ritratto dell’immaturità femminile dei 20 anni, con il sesso affrontato con un’eccessiva leggerezza e un’incapacità di analizzare le proprie paure e le proprie debolezze seriamente.
La bellissima scrittura del film, genera più e più volte momenti di dialogo interiore con il feto doppiato da Herman Tømmeraas, che oltre a regalare grandi risate, ci danno anche un’immagine del percorso verso l’accettazione della maternità non di poca rilevanza.
L’impressione finale è quello di un diario di una futura mamma che è costretta a crescere dannatamente in fretta, tra isolamento, dubbi e depressione, con la paura di quel sogno di una dimensione familiare confortevole per mitigare a realtà di una vita priva di vere relazioni profonde.
Uno sguardo agrodolce alla vita vera
Ninjababy ci dona un’immagine della Norvegia come un enorme labirinto di cemento, piccole stanze per piccoli letti, burocrazia, servizi perfetti, dove si consuma un sesso che è bene o male lo sfogo di una mancanza di dinamismo che sappiamo essere imperante nel civilissimo nord.
A perfetto contraltare ed antidoto di tutto questo, vi è lo sfigatissimo Mos di Nader Khademi, forse il migliore esempio di bravo ragazzo che cinema ci abbia dato recentemente, di quel classico individuo apparentemente nella norma e ben poco desiderabile, ma che in realtà nasconde risorse emotive ed empatiche semplicemente straordinarie.
A lui si contrappone lo spassoso “Minchia Santa” di Arthur Berning, e anche in lui vediamo un totem, quello del maschietto tentennante, immaturo, narcisista ed egoista irresponsabile, che naturalmente in virtù di leggi patriarcali non scritte, dell’avvenenza e del modo di fare invasivo, nella vita reale sappiamo che alla fina ha sempre ciò che vuole anche se non se lo merita.
Perché Ninjababy non è una storia su quello che vorremmo che fosse la vita fuori da uno schermo, ma su quello che è veramente tutti i giorni, su ciò che significa oggi come oggi avere un figlio, con l’adolescenza che si è allungata, la crisi economica e generazionale che tallona la Generazione Z.
L’insieme non è per nulla tenero verso la protagonista e gli altri personaggi, ma in ultima analisi neppure crudele, quanto malinconicamente conscio di quanto la vita possa diventare complicata, quanto la felicità sia spesso nell’ultimo posto in cui pensiamo che sia.
Permane, alla fine di questi 103 minuti pieni di tutto quello che si vuole avere da un film, sicuramente un maggior rispetto per il fardello che ogni ragazza e donna deve prendersi assieme alla gravidanza, nonché la certezza che l’autodeterminazione femminile per quello che riguarda il proprio corpo, sia troppo importante per essere mero strumento della politica più stupida e volgare.
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