sabato, 16 Novembre 2024
Oltre i partiti anche Mattarella si prenda le sue colpe
Il presidente Mattarella si accinge a sciogliere le camere, certificando la chiusura del governo di unità nazionale concepito proprio sul Colle più alto. I consiglieri del Quirinale hanno cercato in tutti i modi di convincere Draghi a restare al suo posto, si sono industriati fino all’ultimo per procurare al premier il placet del Senato, talvolta sfidando la lettera della Costituzione (mai si era sentito di un Capo dello Stato che telefona direttamente ai leader di partito per consultarsi con loro prima di un voto in aula). Tutto ciò non è servito, forse anche perché a Draghi sono mancate alcune piccole accortezze: ancora oggi, ad esempio, non si capisce perché il premier si sia dimesso quando Conte rifiutò il voto favorevole alla fiducia, qualche giorno fa. Non si capisce perché ieri abbia tenuto un discorso così freddo nei confronti dei temi cari al centrodestra. Non si capisce perché all’ultimo abbia posto la fiducia su una risoluzione firmata da Casini. Sono tutte ingenuità che Draghi avrebbe potuto evitare, se solo fosse stato meglio consigliato dai funzionari del Quirinale. Così non è stato, o forse il premier questi consigli non ha voluto sentirli, perché la sua pazienza era già finita da tempo e intendeva andarsene a tutti i costi. Quale che sia l’animo di Draghi, della fine di questo governo il Colle porta parte della responsabilità. In aggiunta, poiché i poteri del Quirinale da tempo si sono estesi, soprattutto in caso di incartamento del quadro politico, sarebbe stato opportuno legare il governo Draghi anche al cambio della legge elettorale, obiettivo mancato di questa legislatura: così non è stato, e di conseguenza rischiamo la paralisi anche alle prossime elezioni, laddove il centrodestra non riuscisse ad imporsi solidamente nelle urne.
Insomma, e sia detto col dovuto rispetto, mancanze ce ne sono state. Del resto, l’obiettivo principale del capo dello stato è il medesimo del suo predecessore Napolitano. Evitare le urne ad ogni costo, nel nome di una stabilità che però non si è vista. Abbiamo avuto tre governi e quattro crisi di governo, una serie di consultazioni infinite condite da mandati a vuoto, e in questo caos alcune scelte precise sono certamente imputabili alla presidenza della repubblica. Ricordiamo gli ostacoli frapposti alla nascita del governo Lega-Cinquestelle: a cominciare dallo stop all’ingresso di Paolo Savona al ministero dell’economia, per proseguire con il mandato a Carlo Cottarelli, che fu respinto subito dai partiti facendo impennare lo spread. Un asso nella manica, insomma, che il Quirinale dovette rimangiarsi in fretta e furia.
Allo stesso modo, tramontato il governo gialloverde, il presidente Mattarella consentì che si formasse un governo di colore opposto con lo stesso premier, arruolando il Pd uscito bastonato dalle elezioni. Una scelta singolare, dinanzi a chi chiedeva il ritorno alle urne. Scogliere le camere? Neanche per sogno. Anzi, il Colle impose e protesse alcuni contestati ministri, come Lamorgese agli interni e Speranza alla salute. Inoltre, non possiamo non considerare un’altra manchevolezza: in quanto capo della magistratura, il capo dello Stato ha rifiutato di alzare la voce con la magistratura quando occorreva ripulire il Csm, affondato nella palude del correntismo e dell’affarismo. Quando con le rivelazioni di Palamara si scoprì che le nomine ai vertici di alcune procure dipendevano da accordi tra tribù togate e politiche, il Presidente avrebbe potuto (o dovuto?) intervenire. Ma non l’ha fatto.
Da ultimo l’ultima decisione emergenziale, con la nascita del governo Draghi, respingendo ancora una volta l’idea delle urne. Su tutto, un lasciapassare dall’alto per voti di fiducia sempre più frequenti, nuove regole a colpi di Dpcm, e governi disinvolti nei confronti di un parlamento esausto. La classe politica ha le sue colpe pesanti, in questo sfacelo. Ma nessuno è esente da critiche, nel Palazzo e anche sul colle più alto.