sabato, 23 Novembre 2024
Onorevole Trattore
Non solo coltivatori arrabbiati che manifestano per strade e città d’Europa. C’è una pattuglia «verde» di ex politici che è passata dalle astuzie di Palazzo alle fatiche della terra. In altre parole: dopo il potere, resta il podere.
«Scarico ’ste cose dal trattore e arrivo». Può essere preciso? «Sono pietre. Le ho appena tolte dai campi». Il telefono gracchia. Tonino Di Pietro ansima. Era il magistrato più temuto. È il «cincinnato» più indomabile. Le proteste di agricoltori e allevatori sono le sue: «Hanno finalmente risvegliato le coscienze!». Dopo aver chiuso con la politica è tornato a Montenero di Bisaccia, paesino di seimila abitanti nella campagna molisana. Segue la masseria di famiglia: 24 ettari. «Mio padre c’ha campato tre figli. Io, senza pensione, non arriverei a fine mese». Cosa vende? «Niente! I costi sarebbero maggiori dei ricavi. Coltivo per me e gli amici: vino, olio, grano. È un secondo lavoro, per chi non riesce a fare a meno della terra». Arrivato sotto un mandorlo quasi in fiore, osserva i campi vicini: «Sono di elettricisti, meccanici, postini… Del resto, come facciamo a competere? A me un litro d’olio costa 12 euro. Al supermercato lo trovi a quattro». La Commissione europea, dopo anni di accanimento, comincia a ravvedersi. «E meno male, benedetto Iddio! Le follie ambientaliste hanno fatto traboccare il vaso. Ma lo vogliono capire o no? Un aereo che passa inquina molto più di diecimila ettari di terra».
Gli dicevano: «Torna a fare il contadino!». Eccoci qua: «Essere contadini è un onore». Di Pietro risale sul trattore. Prima magistrato, poi leader dell’Italia dei Valori, infine agricoltore. Come Cincinnato: il console che prima conduce i Romani al trionfo sugli Equi e poi riprende a coltivare il suo terreno. Ma in campagna sono tornati tanti ex politici, dopo gioie e affanni. Un destino che, per esempio, condividono pure due ex governatori siciliani. Vedi Totò Cuffaro, il più venerato dei vicerè. Dopo cinque anni a Rebibbia per favoreggiamento a Cosa nostra, ha ricominciato dal casale Santa Ida. Un’azienda agricola grande come un paese. È nascosta in un’immensa vallata che divide San Michele di Ganzaria da San Cono, il lembo più occidentale della provincia catanese. Sono un’ottantina di ettari. Cuffaro produce vino, olio, frutta, erbe: tutto biologico. Quanto alla politica, Totò ha rifondato la Democrazia cristiana. Ma non si candiderà alle europee. Pure il suo successore, Raffaele Lombardo, presidente siciliano fino al 2012, resiste da anni alla tentazione. Si dedica piuttosto al vasto agrumeto di famiglia. Si è concesso uno sgarro solo un un anno fa, sperimentando la coltivazione di fave biologiche.
Rimanendo nell’isola: anche Giuseppe Castiglione fu vicepresidente. E poi onorevole e sottosegretario, proprio all’Agricoltura. Alfaniano di ferro, viene travolto dal marasma centrista. Non rieletto nel 2018, annuncia: «Sto facendo assieme ai miei figli un investimento limpido». Ma soprattutto stupefacente. Una società nata per produrre marijuana legale e i suoi derivati: Ancapa. Il progetto, però, sembra languire. Alle ultime politiche, autunno 2022, Castiglione torna in parlamento sotto le bandiere di Azione. A differenza, invece, del suo vecchio capo partito. Angelino Alfano, ormai, è un celebrato manager. E, ad aprile 2022, fonda una società agricola con altri due soci. Mu-Assar ha sede ad Agrigento. Capitale sociale: 12 mila euro. Attività economica: «Coltivazione di frutti oleosi»
Pidiellino è stato anche Franco Orsi: già consigliere regionale in Liguria, senatore e sindaco di Albissola. Dopo 34 anni di politica, pure lui anni s’è dato all’agricoltura. Ha rilevato 11 ettari a Sassello, nell’entroterra savonese. Coltiva lavanda, cereali e ortaggi. «Adesso abbiamo anche un allevamento». Splendido. «Insomma, i margini sono scarsi. E si fanno solo con l’agriturismo» ammette Orsi. Colpa dell’Europa? «Per dirne una: ci ha forzati alla rotazione delle colture, per salvaguardare l’ambiente. Così, l’Italia è stata costretta a ridurre del 20 per cento la produzione di cereali. Ora li importiamo da Paesi che se ne fregano delle regole, a prezzi maggiori».
Chiaramente, fiancheggia i rivoltosi. «Una mobilitazione diffusissima: nata spontaneamente, partita dal basso. Fa riflettere. Nell’egoismo imperante, i trattori vengono applauditi». La gente, dice l’ex senatore, ama i contadini. Perché? «Questa battaglia riguarda tutti: prima si comprava il vino dal vignaiolo. Adesso bisogna andare al supermercato, pagando di più. E poi il cibo è cultura, famiglia, socialità…». Come cantava l’avanguardista Rovazzi: «Col trattore in tangenziale, andiamo a comandare». Continua Orsi: «Le sciocchezze dell’Unione incidono pure sui consumatori. La retorica dell’ambientalismo ci porta dritti all’estinzione. Ma se invece gli agricoltori vincono la battaglia, beh, allora potrebbe essere scardinato definitivamente il nefasto Green deal: dall’auto elettrica alle case da ristrutturare».
Anche la Riviera di Levante ha il suo cincinnato: Luigi Grillo. Più volte deputato, senatore e sottosegretario del centro destra. Anni fa ha rilevato l’azienda agricola più grande della zona: a Monterosso, capitale delle Cinque terre. Sei ettari: la sua famiglia produce miele, marmellata e limoncino. Ma soprattutto il pluridecorato Sciacchetrà, un passito che Silvio Berlusconi portò al G8 dell’Aquila.
Vignaiolo è diventato pure Renato Brunetta, presidente del Cnel. La sua azienda si chiama Capizucchi. È a sud di Roma: 25 ettari di vigneto, la metà coltivata a Montepulciano e Cabernet sauvignon. L’ex ministro adora la vita rurale: «Una passeggiata al tramonto, tra i filari, ripaga di tante fatiche e amarezze».
Ha trovato invece pace nelle campagne del Varesotto Renzo Bossi, figliolo dell’Umberto. Fu proprio il fondatore della Lega, sondato sul futuro politico dell’erede, ad affibbiargli il perfido soprannome. Più che delfino, «trota». Renzo, a dispetto della metafora ittica, rinasce però tra i pastori. Ad appena 35 anni, dopo un mandato da consigliere regionale e una selva di inchieste schivate, è già un piccolo cincinnato. Porta avanti la fattoria Tera Nostra insieme al fratello, Roberto Libertà. Allevano capre, maiali, polli e conigli. Si dilettano con piccole produzioni: mirtilli, fichi e kiwi. «I protagonisti del nostro assortimento» dettagliano però i fratelli Bossi «sono i formaggi di capra e i salumi di maiale».
Comunque Renzo, che di recente s’è pure maritato, rimarrà sempre «il trota». Così come Franco Fiorito resterà nella storia per un altro insuperabile nomignolo: «er Batman». L’ex consigliere regionale del Lazio, protagonista di un leggendario scandalo sui rimborsi elettorali, è stato condannato per peculato. Ma ad Anagni, dove fu già amatissimo sindaco, non l’hanno mai dimenticato. Tanto da evocare una sua ricandidatura alle ultime comunali. Gentilmente declinata da «Francone», vista la sopravvenuta passione, ossequio al vecchio slogan elettorale «il futuro è Fiorito». Adesso si dedica ai suoi terreni, dove ha piantato ulivi bio, pomodori e lavanda: «Dicono che quelle dei politici sono braccia sottratte all’agricoltura: io, oltre ai soldi, ho restituito anche le braccia».
Dopo uno spossante impegno parlamentare, Mario Capanna, già fondatore di Democrazia proletaria e leader sessantottino, si gode invece il sostanzioso vitalizio tra i vitigni umbri. Tre ettari a Città di Castello. E una certa abilità nella guida del trattore. Ha persino scritto un libro, dedicato ai novelli agricoltori: Evo. La magia dell’ulivo e dell’olio. Sottotitolo: «Quello che nella vita ho imparato dall’extravergine». Il suo, tra l’altro, ha già ottenuto prestigiosi riconoscimenti. Come i vini di Massimo D’Alema, del resto. Nel 2014 rileva, pure lui in Umbria, La Madeleine: 15 ettari di terreno, la metà vigneti. «Faccio anche l’uomo di fatica, scarico cassette d’uva da 20 chili» si vanta all’epoca. Salvo poi diversificare con attività meno bucoliche: l’intermediazione per la vendita di armi colombiane o di ventilatori polmonari cinesi. L’indimenticato leader della sinistra italiana, comunque, non s’è ancora schierato dalla parte dei trattori.
A differenza dell’ex compagna di partito: Monica Cirinnà, paladina dei diritti Lgbt+, sconfitta alle ultime politiche. Già a marzo 2022, prorompe: «Il settore agricolo è in estrema sofferenza e non viene sufficientemente sostenuto. Vedremo chiusure e sofferenza». Cirinnà adesso si dedica alla fattoria di famiglia: CapalBio. Arguto riferimento alla patria del radicalchicchismo italico. Azienda sterminata, proprio lì: nella Maremma toscana. Quasi 150 ettari tra seminativi, vigne, uliveti e frutteti. La celebrità, però, non è arrivata con il Sangiovese o l’Ansonica. Ad agosto 2021, sotto la cuccia del cane Orso, vengono rinvenuti 24 mila euro: in banconote da 500 e perfettamente impacchettati. Di chi saranno mai? Diventa il giallo dell’estate. E come i grandi misteri, rimane irrisolto.
Per dimenticare e diversificare, la scorsa estate Cirinnà apre il ristorante rurale Terra, ospitato nella fattoria. Il Gambero rosso, accorso per una recensione, non apprezza però il servizio: «Improvvisato». Ingenerosi. Non sanno quanti sacrifici faccia Cirinnà: «Non vado in spiaggia, non frequento nessuno, esco poco, mi faccio anche il pane da sola». La dura vita della cincinnata eco chic. Pure lei medita la rivolta, ovviamente su un trattore arcobaleno.