lunedì, 21 Aprile 2025
Ornella Muti, la diva di ferro e di velluto

(di Giorgio Gosetti) Domani Francesca Romana Rivelli, in
arte Ornella Muti, festeggia un compleanno importante, ma quando
nacque a Roma il 9 marzo 1955 non sapeva di aver anticipato di
24 ore la festa che sarebbe stato un suo emblema: la festa della
donna. Si dirà che l’icona di Ornella è soprattutto un sogno
proibito al maschile, ma la tenacia, i silenzi, l’impegno e la
professionalità della donna rendono merito a una femminilità che
nel tempo si è ritagliata una dignità senza stereotipi. Se negli
anni ’70 la Muti è stata alfiere della nuova stagione delle dive
giovani (insieme a Eleonora Giorgi e Agostina Belli e poi Laura
Antonelli) e di un cinema popolare che sfidava i tabù
dell’Italia post-68, è anche vero che si tratta di una delle
poche attrici nazionali con un autentico palmarès
internazionale, cercata e scelta da autori come Vicente Aranda,
Georges Lautner, Volker Schlöndorff, Anthony Hickox, Mike
Figgis, Peter Greenaway. Ma anche in patria, la sua carriera è
stata plasmata da grandi registi come Damiano Damiani, Mario
Monicelli, Dino Risi, Marco Ferreri, Carlo Verdone, Ettore
Scola, Francesca Archibugi, Citto Maselli.
Solo Laureen Bacall può vantare nel pantheon delle “divine”
capelli belli come quelli di Ornella; gli zigomi alti traducono
la sua origine estone e russa per parte di madre (la scultrice
Ilse Renate Krause); gli occhi azzurri e spesso socchiusi vanno
a nascondere un’ironia penetrante; le labbra perfette e il
sorriso illuminante compongono una maschera fotogenica che la
impone fin dal primo provino. Alla fine degli anni ’60, mentre
la sorella maggiore Claudia tentava alla Lancio la strada del
fotoromanzo (diventerà famosa in coppia con Franco Gasparri), la
quattordicenne Francesca Romana, rimasta orfana di padre, si
presentava al provino per Damiano Damiani. Il regista la sceglie
tra mille volti per il personaggio di Franca Viola, eroina del
femminismo ante litteram per aver rifiutato un matrimonio
d’onore nella Sicilia della mafia rurale. Il fatto ha suscitato
enorme clamore quattro anni prima e il film, “La moglie più
bella” del 1969, si iscrive nel filone del miglior cinema civile
degli anni ’60. Su quel set, come si sa, Damiani le impone il
nome d’arte che non la lascerà più, ispirandosi a due personaggi
dannunziani.
La bellezza di Ornella è una folgorazione sui set di Cinecittà:
minuta e timida lontana dalla macchina da presa, Ornella riempie
di sé lo schermo e fa innamorare operatori e registi. Lavora da
subito sia in Italia (con Umberto Lenzi) che in Spagna dove le
costruiscono il personaggio della giovane e seducente peccatrice
e dove rimarrà incinta di Naike, la bellissima figlia a cui non
ha mai voluto rivelare il nome del padre. Tornata a Roma in
attesa della nascita, viene però chiamata da Mario Monicelli per
il ruolo di Vincenzina in “Romanzo popolare” del 1974. Stretta
tra l’amore del sindacalista Ugo Tognazzi e del poliziotto
Michele Placido, la sua Vincenzina, immortalata dalla canzone di
Enzo Jannacci “Vincenzina e la fabbrica”, ha un grande successo
e impone Ornella – pur doppiata – come una sicura protagonista
in quella stagione del nostro cinema. Nello stesso anno si
impone anche come bellissima tentatrice in “Appassionata” di
Gianluigi Calderone dove il suo fresco successo si incontra con
quello di Eleonora Giorgi. Hanno appena un anno di differenza,
la più spregiudicata Eleonora le fa quasi da sorella maggiore
(specie nelle scene erotiche) e le due diventeranno amiche per
tutta la vita. Nel ’75 si sposa poi col collega Alessio Orano,
incontrato al suo debutto ne “La moglie più bella”.
Professionalmente quello è un periodo di grande fulgore per la
Muti che sceglie però lavori impegnativi e molto diversi sotto
la guida di Georges Lautner (“Morte di una carogna”), Dino Risi
(La stanza del vescovo”), Marco Ferreri (“L’ultima donna”).
Sullo schermo ha partner importanti come Gassman, Tognazzi,
Depardieu, ma l’unico che le fa girare la testa è Adriano
Celentano, incontrato nel 1980 (alla fine del primo matrimonio
di Muti) sul set di “Il bisbetico domato” per un flirt
confessato solo molti anni dopo. Il “molleggiato” le schiude
anche le porte per una sorta di seconda carriera in cui
l’attrice rivela un sorprendente talento comico, mentre sbarca
anche a Hollywood (cercata da Dino De Laurentiis) per il
kolossal “Flash Gordon” (nello stesso 1980).
Curiosa e imprevedibile Ornella passerà dai successi con
Celentano e Pozzetto alle raffinate atmosfere proustiane di “Un
amore di Swann”, ritroverà per la terza volta Ferreri che
stravede per lei in “Il futuro è donna” (1984), lavorerà due
volte con Francesco Nuti, sarà nel “Capitan Fracassa” di Scola
con Massimo Troisi, farà coppia sullo schermo con Carlo Verdone.
Nel frattempo, mentre conquista le copertine dei grandi
rotocalchi da Time a Class e lavora tra Parigi e Hollywood, la
sua burrascosa vita privata vede un nuovo matrimonio (con
Federico Facchinetti) due figli (Carolina e Andrea), una
tempesta giudiziaria dopo l’arresto del marito per bancarotta e
un temporaneo allontanamento dallo schermo. Ritorna nel 1999 con “Panni sporchi” di Monicelli ma da allora sceglie sempre più
spesso registe donne come Francescana Archibugi, Eleonora Giorgi
(al suo debutto dietro la cinepresa), Asia Argento. Sarà anche
in tv con la serie “Sirene” e sul palco dell’Ariston per il
festival di Amadeus nel 2022.
Per il resto vive appartata, si professa di regione buddista, ha
nella figlia Naike l’amica più cara insieme alla costumista
Nicoletta Ercole. Ornella Muti non ha mai sconfessato la sua
immagine sensuale ma nel tempo ci appare come un’eroina del suo
tempo e, scorrendo la filmografia, ci si accorge che ha lasciato
il segno nel cinema dei grandi maestri con la sua voce roca, il
sorriso malinconico, quello sguardo radioso che illumina lo
schermo e la rende ogni volta assolutamente unica, giovane per
sempre.
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