Piccoli aerei, grande economia

Secondo uno studio commissionato dalla General Aviation Manufacturers Association (Gama), nel2023 il comparto dell’aviazione generale (Ag) avrebbe contribuito all’economia statunitense con339,2 miliardi di dollari e supportando 1,3 milioni di posti di lavoro in tutta la nazione. L’analisi completa di Price water house Coopers (PwC), ha richiesto oltre un anno di lavoro ed è stata pubblicata nel rapporto Contribution of General Aviation to the US Economy in 2023.

“Sono entusiasta di riferire sul nostro contributo economico, gli 1,3 milioni di posti di lavoro che creiamo come settore nel suo complesso”, ha affermato Pete Bunce, presidente e Ceo di Gama durante la conferenza stampa sullo stato dell’industria dell’associazione, spiegando: “stiamo parlando di costruire aeromobili, progettarli, ma anche di mantenerli, del nostro settore dei servizi, di tutte le persone che lavorano sui nostri centri di movimentazione aeroportuale, dei nostri meccanici e delle officine di riparazione in tutto il paese: sono un sacco di posti di lavoro.

Rispetto a quando abbiamo pubblicato questo rapporto, nel 2000, si tratta di un aumento di oltre 100.000 posti di lavoro e di 92miliardi di dollari nell’economia statunitense”. Il relativo comparto manifatturiero ha mostrato una forza particolare, con quasi 4.000 aeromobili prodotti negli Usa e consegnati nel 2023, dei quali gli aeromobili sperimentali e costruiti da amatori hanno guidato le consegne al 34% del totale, seguiti dagli aeromobili industriali con motore a pistoni al 28,8%.

I jet aziendali (aeroplani d’affari), hanno rappresentato il 12,5% delle consegne ma hanno dominato in termini di valore, rappresentando quasi l’80% dei 12,9 miliardi di dollari di vendite totali di aeromobili. Certamente il paragone con l’Europa è impietoso, del resto gli Usa sono da sempre definiti “Aviation Nation”, tuttavia resta il fatto che contro l’aviazione privata in Europa è stata scatenata una guerra ambientalista del tutto ingiustificata, nonché una tassazione perversa della quale il peggiore esempio è l’Italia, con la “tassa Monti” per ogni chilogrammo di peso di un aeroplano applicata nel 2013 e mai cancellata anche se la sua riscossione costa più di quanto lo Stato possa incassare.

Nel concreto, in Italia si pagano 0,75 euro fino a 1.000 kg, 1,25 fino a 2000 kg e così via fino a 7,60 euro al chilo oltre i10.000 kg. Tassa che inspiegabilmente per gli elicotteri è maggiorata del 50% e che per Alianti, motoalianti, autogiri e aerostati: l’imposta è pari 450,00 euro. Un peccato, sia perché uno dei maggiori costruttori di aeromobili leggeri per scuola e turismo è la partenopea Tecnam di Capua, che ovviamente in questa situazione vive di esportazioni, sia perché nella categoria degli aeromobili ultraleggeri (fino a 600kg di peso massimo), i produttori italiani competono per qualità a livello mondiale ma non hanno convenienza a certificare i prodotti nelle categorie superiori per ragioni di costi della burocrazia.

Si consideri che il processo certificativo europeo di un aeromobile a quattro posti incide per il 45% del costo finale. Così l’Italia è il regno degli aeroplani usati e vetusti, ed è sufficiente andare in qualsiasi aeroporto turistico per rendersene conto. Infine, con l’ideologia green, possedere un piccolo aeroplano oggi è considerato peccato mortale. Forse, invece, il peccato è non capire che tra assicurazione, rimessaggio, manutenzione e addestramento, ogni paio d’ali costituisce un grande volano per l’economia.

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