mercoledì, 27 Novembre 2024
Putin incontra Xi Jinping e si scopre più solo
Vladimir Putin e Xi Jinping si sono incontrati a Samarcanda, città dell’Uzbekistan scelta come sede della riunione dello Shanghai cooperation organization (Sco) che riunisce otto Paesi della regione asiatica: la Cina fondatrice insieme alla Russia, l’India, il Pakistan, il Kazakhstan, l’Uzbekistan, il Tajikistan e il Kyrgyzstan. I cinque «stan» per la Cina sono importantissimi visto che dal 1991 (anno del crollo dell’URSS) ha investito in quei paesi decine di miliardi dollari.
Fu proprio durante un viaggio tra Kazakhstan e Uzbekistan che Xi Jinping fece conoscere al mondo la Belt and Road Initiative (la Nuova Via della seta) nella quale dal 213 a oggi i cinesi hanno messo sul piatto oltre 932 miliardi di dollari in oltre 120 paesi che si sono resi disponibili ad allineare i propri piani di sviluppo a quello del governo cinese.
Se i colloqui si fossero tenuti soltanto un anno fa l’approccio di Vladimir Putin sarebbe stato molto diverso da quello che è stato obbligato a tenere durante gli incontri di Samarcanda. Putin, durante l’incontro con il leader cinese, ha condannato «i tentativi di creare un mondo unipolare» e ha ringraziato Xi Jinping «per la sua posizione equilibrata» sulla guerra in Ucraina. Inoltre il presidente russo ha colto l’occasione per «condannare l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti di Taiwan». Da parte sua Xi ha detto che «la Cina è pronta a lavorare con la Russia in qualità di grandi potenze».
Quindi russi e cinesi marciano insieme? Non proprio, perché Xi Jinping ha ribadito a Putin la propria contrarietà alla guerra e che non ci sarà nessun aiuto militare come Putin sperava. Ma perché la Cina si sfila? Lo chiediamo ad Antonio Selvatici, docente universitario e saggista, profondo conoscitore delle questioni cinesi: «Il grande gioco si chiama economia globalizzata. La fotografia è limpida: fino ad oggi (e sarà così ancora) il blocco delle autocrazie orientali (Cina e Federazione russa) hanno giocato, anche se con regole diverse, con gli altri paesi, quelli democratici Occidentali. Un incredibile mix il cui legante era ed è per tutti produrre utili, guadagnare a tutti i costi. L’Occidente gioca per soddisfare le ambizioni delle semestrali. La Cina per mantenere l’ordine sociale ed evitare un’implosione come quella capitata in Urss. La Russia gioca per mantenere un equilibro tra i pochi che detengono il potere economico. Inoltre, la Russia e la Cina, nella loro diversità, non hanno avuto nell’ultimo decennio un ricambio nella guida del paese: Putin e Xi comandano con decisione e severità perché il modello di governance da loro voluto ed imposto glielo permette». Ma che cos’è esattamente il Nuovo ordine mondiale spesso sbandierato da Pechino e Mosca? «Non è altro che il desiderio del riconoscimento della bontà del loro modello da parte dell’Occidente. Da un lato ‘l’Occidente decadente’ e dall’altra l’efficienza delle autocrazie. Ma il grande gioco dell’economia globalizzata divisa tra blocchi non significa un matrimonio indissolubile tra Mosca e Pechino. Entrambe difendono principi condivisi, ma sono attori diversi nello scenario globale. La potenza economica della Cina non è paragonabile a quella della Russia, inoltre la formazione del Pil delle due super nazioni non è paragonabile. L’economia manifatturiera cinese necessita di mercati globalizzati non ostili, ma accoglienti: il conflitto in Ucraina rischia di incrinare leggermente il livello di export. Ed è per tutti questi motivi che la partita Mosca/Pechino riguardo il conflitto in Ucraina seguirà un la politica del doppio binario».
La Sco come detto è composta da otto membri, dal 2017 sono entrati a farne parte anche l’India e il Pakistan, e per questo i legami e i progetti di cooperazione euro-asiatico cresceranno esponenzialmente. Al vertice dell’anno scorso a Dushanbe (Tagikistan) è stata avviata la procedura per l’ammissione nella Sco dell’Iran, che oggi fa parte di un gruppo di quattro «Paesi osservatori» che comprende anche l’Afghanistan, la Mongolia e la Bielorussia; mentre l’Armenia, l’Azerbaigian, la Cambogia, il Nepal, la Turchia e lo Sri Lanka sono «partner di dialogo». Attendono di essere valutati dal 2021 come partner di partner di dialogo della Sco l’Egitto, il Qatar e l’Arabia Saudita. Alcuni giorni fa l’agenzia di stampa russa Ria Novosti ha reso noto che è ormai cosa fatta per l’ingresso a pieno titolo della Bielorussia, che ha fatto domanda per entrare nel gruppo e che è considerata «strategica nelle relazioni con la Russia e la Cina dato che fa parte della Eurasian economic union e partecipa all’iniziativa Belt and Road». Quanto vale questa alleanza. Innanzitutto con Cina, Russia e India tra i paesi membri, la Sco rappresenta oltre tre miliardi di persone e genera più di un quarto del Pil mondiale lordo. Secondo l’ultimo report del China Institute for International Studies (Itss) «l’aggregato economico dei Paesi membri si avvicina ai ventimila miliardi di dollari», praticamente superiore di tredici volte di quando l’organizzazione venne fondata, con un commercio estero che si attesta oltre i 6.600 miliardi di dollari, quindi cento volte più grande dei valori iniziali.
A margine del meeting si è parlato anche di una notizia che circola da giorni: il Kazakistan avrebbe deciso di uscire dall’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) della quale fanno parte Kazakistan, Russia, Armenia, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan. Perché una decisone di questo tipo? Secondo il ricercatore dell’Itss Verona, Francesco Cirillo, «se la notizia venisse confermata, dopo le prime indiscrezioni che sono giunte e che sono state smentite dal governo kazako, significherebbe che Pechino sta già costruendo il post conflitto, puntando a sostituire il ruolo di Mosca come garante della sicurezza politico-militare in Asia centrale. Si pensava che dopo l’intervento della Csto a gennaio 2022 per sopprimere le rivolte nel paese centro-asiatico Mosca avesse consolidato la presa politica sul Kazakistan; ma il conflitto ucraino ha cambiato le carte. Come il Kazakistan molti paesi dell’Asia Centrale stanno osservando le sconfitte di Mosca. La guerra ha mostrato che in futuro Mosca, che uscirebbe di fatto indebolita, potrebbe non ricoprire un forte ruolo di protettore militare della regione e per questo gli stati della regione potrebbero valutare di rivolgersi a Pechino. Per Putin, visto che considera una questione di sopravvivenza la guerra contro Kiev, ciò sarebbe un piccolo prezzo da pagare, ma al lungo termine l’asse russo-cinese rischia di spostarsi in favore della Repubblica popolare cinese e sulla Sco, indebolendo la Csto e l’influenza russa sulla regione centro-asiatica».