Quella striscia di coca in metropolitana ci fa toccare il fondo

Farsi di coca e sentirsi a proprio agio nel farlo impunemente. E’ accaduto a Milano in queste ore ed è diventato virale con un video di meno di un minuto che sta rimbalzando sui siti di informazione e sui social un po’ dappertutto. E naturalmente sta passando sugli schermi dei cellulari di migliaia di studenti in vacanza dalla scuola da meno di un mese. Una notifica, un’occhiata incuriosita e stupita, magari una condivisione. Tutto naturale. Senza scandalo. Soprattutto senza una lettura del gesto, senza un commento a margine. Invece non dovrebbe essere così, perché se due ragazzi, e non cambia che siano italiani o stranieri, turisti o studenti, se due ragazzi si sentono legittimati ad apparecchiare una striscia e sniffare pubblicamente sui sedili della metropolitana in centro a Milano come se stessero scrivendo su un’agenda o prendendo nota di un numero telefonico, ecco che è accaduto qualcosa di grave. Si è toccato un limite in basso. E deve avvertirsi la necessità di scandalizzarsi, vale a dire di inciampare in questa immagine, rompendo la superficie della quotidianità, per poi provare a ripartire.

La questione riguarda la sicurezza dei mezzi pubblici, certamente, e la convivenza nello stesso vagone di chi va a fare la spesa, o un giro in centro, o di chi va al lavoro o porta all’oratorio estivo figli e nipoti con chi invece non è lucido e compie un reato in flagranza, dopo averne compiuti altri per arrivare a detenere della droga. Ma è anche e soprattutto sintomo e segno di una crisi assai più profonda che riguarda alcuni aspetti costitutivi del nostro tempo.

In primo luogo, la sovraesposizione a immagini di violenza ogni giorno crescente rende potabile un video di due ragazzi che si drogano in metropolitana. Nessuno grida, nessuno sanguina, nessuno spara, per cui non serve nemmeno l’avvertenza che quelle immagini possano urtare la sensibilità. Siamo arrivati a questo livello di sopportazione, e i più giovani hanno assimilato questo limite che va ben oltre il tollerabile, avendo preso confidenza con immagini tremende provenienti dalla guerra più telegenica della storia, ma anche da serie televisive violentissime che hanno reso labile la differenza tra ciò che è vero e ciò che non lo è.

Inoltre, stupisce e preoccupa il poco scandalo intorno a questa immagine di degrado urbano, forse consapevoli che tutto sommato ci sia ben di peggio. Perché c’è ben altro per cui valga la pena discutere, ben altro per cui valga la pena fermarsi e riflettere. C’è sempre qualcosa di più grave, in effetti, se il metro di paragone è una minaccia atomica, o una pandemia mondiale. E i più giovani così si abituano a relativizzare ogni avvenimento, trovando comodo il paragone con il peggio nei confronti di cui tutto è accettabile, comprensibile, perdonabile.

Ancora, l’assenza di un commento strutturato. Le immagini ormai sono la notizia e la riflessione a riguardo non genera clic, non fa volume. Moraleggia, quindi annoia pure lei. E così passa indisturbato il messaggio per cui basta vedere per sapere, per conoscere, per informarsi. Non c’è bisogno di altro. Se c’è il video, è successo e l’utente se ne farà un’idea. E così si dà spazio alla religione delle immagini e alle fake news su larga scala.

Il tema in ultima analisi cruciale è quello del senso del limite, ormai travalicato, in una società occidentale schizofrenica che presta attenzione al pronome da utilizzare per garantire l’identità di tutti e che si dimostra incapace di scandalizzarsi dinanzi a una normalità oscena come questa. Con buona pace dei nostri studenti che magari si sono trovati in imbarazzo nel vedere una scena simile a pochi passi da loro, ma che la prossima volta proveranno a filmarla, per quindici minuti di celebrità.

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