Quelle pericolose divisioni «personali» e non di programma nel centrodestra

Ma qual è allora la maggioranza di governo? La domanda è da una parte un po’ forzata ma del tutto lecita visto quanto successo oggi al Senato. I fatti.

L’accordo sui ministri e sui presidenti di Senato (da eleggere oggi) e Camera (che sarà scelto domani) non si trova. ci sarebbero veti incrociati a frenare per il momento la lista. peccato che non ci sia tempo da perdere anche perché il centrodestra, era l’opinione diffusa stamane, non può zoppicare al primo gradino; tradotto: al Senato la maggioranza dev’essere compatta e l’elezione arrivare alla prima votazione. In questo senso arrivava prima del via alla seduta la dichiarazione di Salvini: «Per senso di responsabilità ritiriamo la candidatura di Calderoli. Si vota La Russa». Tutto fatto?. Assolutamente no.

Perché le voci di malumori forti verso Giorgia Meloni da Forza Italia diventavano concreti. Dopo una riunione dell’ultim’ora gli azzurri decidevano di votare scheda bianca; tutti, tranne Berlusconi e la Casellati (chissà poi perché…). A quel punto tutti, ma proprio tutti, erano convinti del fatto che La Russa non avrebbe mai raggiunto la maggioranza e con questa convinzione si procedeva al voto segreto. Da cui però usciva la sorpresa delle sorprese: il candidato di Fratelli d’Italia otteneva 116 voti e la maggioranza, ampia. E qui cominciava lo psicodramma.

Da una parte, a sinistra, il via alla caccia del complice. Tutti guardano a Renzi che però si difende: «Non è cosa mia. Io quando faccio lo dichiaro e questa volta non sono atto io». Letta parlava di «Fatto grave. C’è qualcuno che vuole entrare nella maggioranza»

Dall’altra invece scoppiava la rabbia di Forza Italia, evidentemente beffata in aula, che sfociava nell’ormai famoso «Vaffa…» di Berlusconi, visibilmente infuriato, ripreso dalle telecamere con tanto di penna sbattuta sul banco del Senato. Così oggi quello che resta sul campo è una situazione molto complessa, soprattutto nel centrodestra. E la situazione è così arrotolata su se stessa al punto che nessuno è in grado oggi di prevedere cosa possa succedere domani alla Camera quando si dovrà votare a maggioranza semplice il nuovo Presidente. L’accordo prevederebbe il seggio a Fontana (e non più Molinari), della Lega, ma ripetiamo, certezze non ce ne sono più.

In queste ore le trattative tra le parti per cercare di limitare l’incidente vanno avanti, senza sosta, come le dichiarazioni dei vari leader in campo che provano a spegnere l’incendio. Tutti, per primo Berlusconi, parlano di «segnali». Quello di Forza Italia ha detto il leader era un passo indietro contro i veti su certi nomi nella lista dei ministri posti dalla Meloni (leggi Licia Ronzulli). Poi nel tardo pomeriggio la dichiarazione che forse stempera la tensione: «Ronzulli non sarà Ministro ma noi avremo un bel pacchetto di dicasteri». Segnali…

Quello che resta è che la sinistra ha ripreso voce, evidenziando le, secondo loro, note divisioni interne dell’altra coalizione. che ci sono. Ma vanno una volta per tutte, messe sul tavolo e spiegate agli italiani.

Le crepe che oggi sono comparse nella coalizione non sono sui programmi, non sono sulle cose da fare, non sono sulle cose che contano. Sono ripicche personali. Inutile negare che da mesi nei corridoi della politica si dice che Salvini non apprezzi molto la Meloni e che tra la Meloni e Licia Ronzulli i rapporti siano allo zero assoluto. Ripicche personali appunto che la politica ha sempre offerto e che forse andrebbero evitate del tutto.

Il centrodestra ha avuto un mandato chiaro e forte dagli elettori sulle cose da fare e non sulle persone. Come sempre, quando si tratta di governi di coalizione la decisione su nomi e poltrone crea tensione. Ma sarebbe il caso di finirla qui. Solo per rispetto verso i problemi che ci sono da affrontare e verso gli italiani.

A cui non resta che osservare, da spettatori.

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