Raymond & Ray è il cinema indie che ci piace

D’accordo, magari non sarà un monumento alla creatività, ma Raymond & Ray di Rodrigo Garcia è senza ombra di dubbio uno di quei film che fa piacere vedere, che riescono a regalare piccoli momenti di originalità e sorpresa, in questo marasma di mediocrità che il cinema americano sta portando in alto.

Ethan Hawke, Ewan McGregor, Sophie Okonedo, Marivel Verdù e Vondie Curtis-Hall compongono il cast di questo stranissimo buddy-family movie, a metà tra tragedia e commedia, incentrato su un lutto e ciò che significa per due fratellastri divisi da tutto, ma uniti dal non sapere esattamente come reagire.

Il risultato finale è quello di un film molto gradevole, a tratti davvero triste, ma sempre ammantato di un’ironia che non diventa mai però troppo preponderante.

Uno strano funerale tra passato e presente

Raymond (Ewan McGregor) e Ray (Ethan Hawke) sono figli del defunto Harris, che per i due fratellastri, è stato ben lungi dall’essere un padre modello e un esempio di vita. Deceduto a causa di un tumore, ha lasciato dietro di sé una vita di affetti non curati, di fantasmi e scheletri negli armadi.

Raymond ha divorziato due volte, fa un lavoro tranquillo e noioso, appare timido, pieno di rabbia, insicuro ma determinato a dare l’ultimo saluto al padre. Ray è un ex jazzista con un passato tragico fatto di droga e lutti, è fascinoso, donnaiolo, ma anche solo e senza una prospettiva di vita.

Entrambi si troveranno ingabbiati dalla volontà postuma del padre, da un funerale che in breve diventerà una sorta di epifania, di resa dei conti tra passato, presente e futuro, per due uomini che non sono mai riusciti a farsi amare da quell’uomo, incassando dolore e cicatrici non da nulla.

Rodrigo Garcia torna a parlarci di sentimenti, personaggi fuori dalla norma, di rapporti umani complicati e famiglia, lo fa con un film di cui è anche sceneggiatore, che fin dall’inizio si prefigura come una sorta di variazione rispetto al cinema indie classico, di cui mantiene alcune venature ma distanziandosene in ultima analisi in virtù di una natura ibrida e meticcia.

Raymond & Ray piacerà a chi ama il cinema che più che sugli eventi, punta tutto sui personaggi, le loro interazioni, la loro evoluzione, in un cammino in cui la verità arriva alla fine, ma non è quella che ci si aspettava, non è quella che cinematograficamente pareva poterci venir data. Il che, in un mondo della settima arte dove la prevedibilità è certezza inaffondabile, non è una novità da poco.

Un padre assente per due figli incompleti

Raymond & Ray vive della contrapposizione tra passato e presente, ma anche di quella tra la verità dei due fratelli e quella di chi invece vi ha avuto a che fare dopo di loro, e pare avere un’idea completamente diversa su chi fosse Harris e che cosa portasse al mondo.

Ray è forse il personaggio più misterioso, più accattivante, armato della faccia da schiaffi sbarazzina dell’eterno ragazzo Ethan Hawke, fa il verso alla commedia romantica che fu, ai tanti personaggi che vi abitavano dentro e a cui lo stesso Hawke donò vita.

A mano a mano che si va avanti, appare sempre più vulnerabile, sempre più complesso, mentre lo vediamo svelare a poco a poco la sua anima, parlarci di lutti e dell’isolamento, della sensazione di non aver mai compreso veramente quel padre.

Il suo è un vuoto che l’ha reso quello che è, per certi versi la versione meno apatica e meno egoista ma non meno scostante e contraddittoria del padre, con il suo incidere da artista in erba senza un costrutto, circondato da un dolore che strozza la sua musica, la sua comunicatività e capacità di creare un rapporto umano autentico con cui lo incrocia. A lui si contrappone il “medio man” di McGregor, il Raymond che si veste come il bravo padre di famiglia che non è potuto essere, che si porta dentro dubbi, perplessità, la volontà di trovare comunque un senso in una paternità che a lui non calza, e al padre non riusciva.

I dialoghi, gli scambi di battute ed i confronti-scontri tra i due sono il sale di un film che diverte spesso ma con una ricerca della quotidianità, non una sua deformazione pura e semplice, regalando momenti molto interessanti e lontani dai cliché cinematografici a cui pare volersi aggrappare.

Un film che sa come farsi ricordare

Raymond & Ray parla della morte ma lo fa in modo diverso, quasi cinicamente ironico, si allontana però dal genere funeral movie generico per l’assenza di un happy end eccessivo o immotivato, per affrontare il tema dell’assenza più che quello del lutto. Harris non appare mai o quasi, ma la sua opera per così dire, vive nel dolore che ha lasciato a questi due cinquantenni mai veramente cresciuti, incapaci di vivere secondo le proprie potenzialità, ingabbiati da una mancanza di fiducia in se stessi patologica.

Il film introduce altri personaggi che più che di contorno, sono ingredienti necessari a far comprendere il nulla cosmico di quel padre, distruggono il pilastro familiare su cui cinema e serie tv a stelle e strisce continuano a fare affidamento senza posa.

Raymond e Ray sono una delle migliori coppie di fratelli viste al cinema, Hakwe e McGregor rendono perfettamente la chimica, complicità, così come anche una certa competizione tra questi due uomini, che non sono mai riusciti ad essere veramente liberi da un’assenza così importante.

Il film ha un ritmo molto piacevole, sa creare un’atmosfera irreale ma non irrealistica, quanto piuttosto funzionale nel parlare della morte come qualcosa di normale, della religione come un’opzione, dei cosiddetti legami di sangue come costrutti opzionali.

Non è un film che possa ambire a riconoscimenti particolari, però chissà perché ha alcune sequenze che si stampano in mente, un attacco frontale al bigottismo americano della provincia, alla religiosità tossica e già per questo merita un applauso non indifferente.




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