martedì, 26 Novembre 2024
Rischio guerra civile in Mongolia, tra miliardi spariti e carbone alla Cina
Centinaia di manifestanti hanno assaltato ieri mattina il Palazzo del governo di Ulan Bator, in Mongolia, per protestare contro sparizione di fondi pubblici pari a 12,8 miliardi di dollari frutto dell’esportazione di carbone verso la Cina. L’attività mineraria è un pilastro dell’economia del paese e vale il 25% del suo Pil. La Mongolia che vive un momento delicato con l’inflazione salita all’15,2% sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina, invia infatti l’86% delle sue esportazioni in Cina, con il carbone che rappresenta più della metà del totale e sta aggiornando le sue infrastrutture nella speranza di vendere ancora di più al suo vicino meridionale.
Nei numerosi video che circolano sui social network si vedono i manifestati dar fuoco agli alberi di Natale allestiti in piazza Sukhbaatar e mentre bloccano la circolazione nella strada più trafficata della capitale, il Viale della pace. Non è la prima volta che avvengono delle proteste in Mongolia, Nella scorsa primavera migliaia di giovani si erano dati appuntamento per diversi giorni in piazza Sukhbaatar a Ulan Bator per chiedere al governo una serie di riforme politiche e l’adozione di meccanismi di controllo per combattere la dilagante corruzione dei funzionari governativi. Il Governo non apprezzo’ le richieste e invio’ la polizia che non si fece problemi a picchiare i manifestati. Ma già nel 2018 migliaia di persone erano scese in piazza per protestare contro la corruzione dei politici e dei funzionari, dopo che l’allora presidente del parlamento Enkhbold Miyegombo era stato accusato di aver incassato dei soldi in cambio di posizioni di rilievo nel governo.
Stavolta che i soldi pubblici siano spariti non lo dicono solo i manifestanti ma è stato stesso governo mongolo ad ammetterlo durante una conferenza stampa nella quale ha parlato anche il ministro dello Sviluppo economico, Khurelbaatar Chimed che ha confermato tutto: «Il governo ha discusso la questione tre volte. Persone e funzionari potenti sono stati coinvolti nel furto di carbone. Di conseguenza, la società Erdenes Tavan Tolgoi è stata finalmente soggetta a un regime speciale». Poi il ministro ha puntato il dito anche sui dirigenti della società di investimento statale Erdenes Mongol: « Che sono a loro volta responsabili dell’appropriazione indebita» A proposito di quest’ultima azienda l’amministratore delegato, Gankhuyag Battulga, era già stato licenziato lo scorso mese di ottobre senza che venisse fornita alcuna motivazione. I dimostranti chiedono a gran voce che vengano individuati e puniti anche quei politici che li hanno protetti non certo senza ottenere qualcosa. Si tratta di uno scandalo dalla proporzioni gigantesche A metà novembre, l’autorità anticorruzione della Mongolia ha annunciato che oltre 30 funzionari, tra cui l’amministratore delegato della società mineraria di carbone di proprietà statale Erdenes Tavan Tolgoi, erano sotto inchiesta per appropriazione indebita. L’azienda controlla i depositi di Tavan Tolgoi, che contengono 7,5 miliardi di tonnellate di carbone da coke (il carbone metallurgico che viene utilizzato nella produzione dell’acciaio), e rappresentano una componente fondamentale delle entrate del bilancio statale della Mongolia. Tutti i dirigenti implicati nello scandalo sono accusati di aver falsificato i documenti di transito del carbone e anche di aver completamente nascosto grazie alla complicità di funzionari doganali mongoli almeno: «4,4 milioni di tonnellate di carbone a partire dal 2013».
Nei documenti ufficiali gli addetti alle dogane facevano passare i camion carichi di carbone come normali veicoli passeggeri che attraversavano il confine con la Cina ch a sua volta ha importato carbone rubato senza dire una parola. I manifestanti per nulla intimiditi dai -6 gradi di temperatura hanno poi tentato di marciare su Ikh Tenger – la residenza ufficiale del presidente e del primo ministro – dove sono stati fermati da una barricata eretta della polizia. La Mongolia paese senza sbocco sul mare, incastrato tra Cina e Russia, lotta con l’instabilità politica da quando è diventata una democrazia. La sua prima costituzione fu approvata nel 1992 dopo decenni di governo comunista.Il presidente in carica Khurelsukh Ukhnaa è stato costretto a dimettersi da primo ministro l’anno scorso dopo le proteste e l’indignazione pubblica per il trattamento riservato ad una paziente Covid-19 e del suo neonato.È stato poi eletto capo di stato con quasi il 70% dei voti pochi mesi dopo. In ogni caso in Mongolia la corruzione non è certo un fatto straordinario; Due ex primi ministri Jargaltulgyn Erdenebat e Sanjaagiin Bayar sono stati condannati a pene detentive perché implicati in alcune storie di corruzione nel 2020. Della corruzione nel paese ne parla ache il Freedom House (organizzazione non governativa internazionale che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani) che mette in risalto come: «L’endemica corruzione politica è una delle maggiori criticità del paese asiatico».