sabato, 16 Novembre 2024
Roman Polanski: una testimonianza dissigillata getta nuova luce sul caso
Dopo dodici anni, la testimonianza dell’ex pubblico ministero Roger Gunson, concernente il ruolo del giudice Laurence J. Rittenband nella catena di eventi che ha portato Roman Polanski, sotto processo per abusi sessuali su una minore, alla fuga dagli Stati Uniti nel gennaio del 1978, è stata dissigillata, come vi avevamo riportato qualche giorno fa. Il contenuto del documento non rappresenta di per sé una svolta nel caso, ma si tratta comunque di una testimonianza importante perché conferma ufficialmente e legalmente alcune cose che Gunson aveva già dichiarato nel documentario Roman Polanski: Wanted and Desired, qui ripetute sotto giuramento.
Un giudice inaffidabile
In primo luogo, durante la sua testimonianza (tenuta in tre sedute tra febbraio e marzo 2010) Gunson parla apertamente della sua sfiducia nei confronti del giudice affidato al caso, Rittenband, che secondo lui aveva l’abitudine di richiedere informazioni e opinioni al di fuori dei normali canali del sistema giudiziario, ad amici, ai media e a un pubblico ministero, David Wells, che non aveva niente a che fare con il caso. Gunson, all’epoca a capo dell’accusa, arrivò persino a redigere, nell’agosto del 1977, una deposizione giurata per chiedere la ricusazione del giudice, ma due suoi superiori presso l’ufficio del Procuratore Distrettuale della Contea di Los Angeles glielo impedirono.
Gunson inoltre conferma che Rittenband prese la decisione di rigettare il patteggiamento su cui Roman Polanski e i legali di Samantha Gailey avevano convenuto. L’accordo prevedeva che il regista scontasse una breve pena, 90 giorni, in una prigione statale della California, sottoponendosi a una valutazione psichiatrica. Polanski fu rilasciato prima, dopo 42 giorni, ma Rittenband aveva nel frattempo deciso che lo avrebbe sottoposto a una pena più dura, fino a 50 anni di carcere. Da qui la fuga del regista.
Errori da entrambe le parti
Gunson non indora la pillola, né prende le difese di Polanski: nella sua testimonianza, afferma che la decisione di Rittenband era contro la legge, ma che lo era anche l’uso di una valutazione psichiatrica come pena. L’ex pubblico ministero sostiene che il trattamento di Polanski fu fin troppo clemente: gli fu concesso di dichiararsi colpevole solo dell’accusa meno grave, “rapporto sessuale illegale con una minore”, evitando così l’accusa di stupro, forse per risparmiare alla sua giovane vittima il calvario di un processo. Non solo: la sua carcerazione fu tagliata corta, perché si temeva che corresse rischi in prigione. Inoltre, gli furono concessi tre colloqui per la scarcerazione, e solamente al terzo tentativo riuscì a esprimere un convincente rimorso.
Gunson, che testimoniò nel 2010 perché le sue precarie condizioni di salute facevano temere che non sarebbe vissuto abbastanza da testimoniare durante un eventuale processo (ma in seguito è guarito ed è tuttora in vita), parla anche a lungo dei vari tentativi, fatti negli anni, di far rientrare Roman Polanski negli Stati Uniti, previo patteggiamento che gli evitasse ulteriori pene detentive. Ma l’ufficio del Procuratore Distrettuale di Los Angeles ha sempre sostenuto che Polanski dovrebbe porre fine al suo status di fuggitivo, prima di poter raggiungere qualsivoglia accordo.
Fonte: Deadline