venerdì, 22 Novembre 2024
Ryusuke Hamaguchi: «Cosa siete disposti a fare per salvare il mondo?»
Panorama ha incontrato Ryusuke Hamaguchi, regista giapponese già premio Oscar per il film Drive My Car e Leone d’Argento all’ultimo Festival di Venezia per Il male non esiste (in Italia dal 6 dicembre). Parla di un padre single che vive, con la figlia, in sintonia con la natura. Un equilibrio che rischia di essere rovinato per sempre dalla costruzione di un camping di lusso alla quale i protagonisti si ribellano. «È una storia semplice, ma il messaggio alla responsabilità è universale» dice.
Avvertenze per l’uso: il cinema di Ryusuke Hamaguchi non è per tutti. I suoi film sono molto dialogati, hanno uno sviluppo lento e per taluni difficoltoso. Ma avvicinarsi alle storie di questo 44enne regista giapponese è un imperativo per ogni cinefilo che si rispetti, perché ripagano toccando molteplici corde emotive. A riprova di come il suo talento sia universalmente riconosciuto, senza contare le messe di premi nei festival minori, Hamaguchi ha vinto di recente in sequenza l’Orso d’argento al Festival di Berlino con Il gioco del destino e della fantasia, e il riconoscimento per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes con Drive My Car, diventato poi film straniero dell’anno grazie al premio Oscar.
E adesso arriva al cinema, dal 6 dicembre, con Il male non esiste, fresco vincitore del Leone d’argento all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. «Dopo tutta l’attenzione destata da Drive My Car nel mondo» dice il regista «ho pensato che per allentare la pressione dovevo dedicarmi a un progetto diverso dai precedenti. E così ho accettato l’invito della cantante Eiko Ishibashi, che aveva creato una canzone per il mio film, di creare immagini che accompagnassero un suo concerto dal vivo. Tuttavia io non sono un regista di videoclip e mi sono trovato in difficoltà, ho pensato che forse avrebbe avuto più senso cercare di imbastire una struttura narrativa partendo dalle sue musiche e dal dialogo con lei. Sono andato così a trovarla dove vive e lavora, circa a due ore e mezzo d’auto da Tokyo, e ho iniziato a esplorare quei luoghi e a parlare con le persone, alla ricerca d’ispirazione». Se Il gioco del destino e della fantasia metteva insieme tre episodi che indagavano i sentimenti umani messi alla prova dal caso, dal passare del tempo e dagli equivoci, e Drive My Car raccontava la storia di un regista che scopre la moglie a letto con l’amante e decide di non dire nulla all’amata, che però muore lasciandolo con un gran senso di colpa, Il male non esiste è certamente meno narrativo, ma non per questo meno suggestivo o interessante.
Ecco la storia. Mizubiki è una piccola comunità di 6 mila anime immerse nella natura, incarnate da Takumi (Hitoshi Omika), una sorta di tuttofare: passa le giornate facendo lavoretti, spaccando legna, raccogliendo i frutti che gli alberi e il ruscello gli riservano e occupandosi della figlioletta Hana (Ryo Nishikawa) che, lontana dai pericoli della città, è perfettamente in grado di andare e tornare da scuola attraversando il bosco da sola. Questo equilibrio idilliaco è rotto dall’arrivo nel paesino di Takahashi (Ryuji Kosaka) e Mayuzumi (Ayaka Shibutani), due dipendenti di un’azienda che intende realizzare in quell’area un progetto di «glamping», parola che solo i geni malvagi del marketing potrebbero inventare, crasi di glamour e camping: ovvero un campeggio chic per chi dalla città vuole ritirarsi per qualche giorno alla ricerca di pace tra la natura. Naturalmente il progetto trova l’opposizione di Takumi e dei cittadini, che si espliciterà in una riunione dai toni piuttosto aspri. «A dire il vero il film non è il frutto di un mio diretto interesse per il tema ecologico, anche perché fin da bambino ho avuto veramente pochi contatti con la natura. Anche se girando il film ne ho colto la forza rigeneratrice» spiega Hamaguchi.
Come è arrivato dunque a imbastire questa trama?
Non è stato facile, ma mi sono messo alla ricerca di spunti. E così ho incontrato un amico di Eiko che è diventato la fonte di ispirazione per scrivere Takumi. Un personaggio solo però non mi bastava, avevo bisogno di drammatizzare la vicenda ed è stato proprio lui a farmi venire a conoscenza della storia del glamping, che è realmente accaduta.
Cosa l’ha attratta di questa vicenda che ha ricreato nel film?
È uno spunto in fondo esile, però mi sembrava interessante perché in fondo riflette la nostra società: anche se si tratta di un progetto rabberciato e senza senso, viene proposto come il migliore del mondo, fregandosene delle eventuali ricadute negative sulla vita di molte persone, a cominciare dall’inquinamento delle acque. Questo genere di cose accade tutti i giorni. Il desiderio di urbanizzare e sfruttare la natura è un riflesso della nostra società.
Come crede che si possano risolvere questi problemi?
Come si vede nel film la soluzione può avvenire solo attraverso il dialogo, ma è evidente che tutti dobbiamo modificare modo di vivere: non possiamo pensare per esempio di produrre per sempre tonnellate di spazzatura immaginando che poi qualcuno la farà sparire da qualche parte.
Come ha vissuto la vittoria dell’Oscar assegnato a Drive My Car?
Ne sono stato molto felice, ma a essere onesto la mia vita non è cambiata granché dopo la vittoria. Se qualcuno venisse a vedere dove vivo forse sarebbe deluso nel constatare che non faccio una vita da nababbo. Spero però che qualcuno in futuro mi offrirà di girare film più ambiziosi anche a livello economico, sebbene mi spaventi non poco: quando il budget aumenta si restringe la tua libertà di decisione.
Il fascino del suo cinema è tutto nei dialoghi e nella verità che questi danno ai personaggi. C’è qualche regista cui si ispira?
Sicuramente per me sono importanti come riferimento John Cassavetes e Robert Bresson, che pur realizzando film molto diversi tra loro, in qualche modo cercavano di descrivere il processo interiore dei loro personaggi, o come diceva appunto Bresson, catturare la loro anima.
Il titolo del film è Il male non esiste. Ma a vedere quello che succede nel film sembra un controsenso.
Ho scelto il titolo come fosse quello di una canzone, nel tentativo di creare una tensione per gli spettatori tra il titolo stesso e il contenuto della storia. Vedendo il film è in effetti difficile credere che il male non esista. Quello che mi piace, da spettatore e da regista, è giocare col senso di meraviglia. Penso che chi guarda un film debba sorprendersi, senza capire subito cosa sta accadendo o senza sapere come giudicare le immagini che scorrono davanti ai propri occhi.