Salviamo libri, seminiamo biblioteche

«Devi vederla». Che cosa? «La biblioteca». Girare l’Italia per presentare i libri è sempre l’occasione per scoprire qualcosa che non si conosce. Ogni remoto luogo d’Italia sa riservare incredibili sorprese. Quel giorno d’estate, per esempio, nel caldo asfissiante di Monopoli, in provincia di Bari, mi trascinarono nella loro nuova biblioteca. Non capivo perché ne fossero così entusiasti fino a quando non ci entrai. Rimasi a bocca aperta. Avevano trasformato un vecchio palazzo affacciato sul porto (già caserma, poi mercato ittico) in un luogo confortevole e luminoso, tocchi di colore, spazi internet, wi-fi ovunque, stanze per la musica, luoghi di relax, terrazza aperta a tutti con vista sul mare e sul centro storico. C’era anche un punto di ristoro con le specialità pugliesi, che sarebbe stato perfetto se non l’avessero chiamato «Food Lab». Perché questa mania dell’inglese? Mi strozzai in gola la domanda, aiutato da un bicchiere di rosato del Salento. Attorno a me un sacco di giovani. Ma proprio tanti. Parlando con alcuni di essi scoprii che la biblioteca era diventato il loro luogo abituale di ritrovo.

La biblioteca Prospero Rondella di Monopoli mi è venuta in mente l’altro giorno quando il nume tutelare mi ha suggerito una ricerca Istat, che come al solito mi era sfuggita: un terzo dei Comuni italiani (per l’esattezza il 33,7 per cento) non ha una biblioteca. E, dove la biblioteca c’è, essa è spesso molto arretrata, non digitalizzata, poco accessibile, un po’ obsoleta. Tutto il contrario di quel gioiello che ho conosciuto a Monopoli, intitolato a un giurista locale del Cinquecento, aperto tutti i giorni fino alle 20 (alle 21 d’estate), domenica compresa, capace di trasformare i libri in fermento vivo della città. Proprio come dice l’Unesco: «Le biblioteche sono forza vitale per il benessere delle persone». E allora perché non riusciamo a valorizzarle? Perché non sfruttiamo i soldi per aprirle e trasformarle, anche quando ci sono? Il rapporto Istat è impietoso: solo il 4 per cento delle biblioteche italiane ha fatto ricorso ai fondi del Pnrr a loro disposizione. Un’altra occasione buttata.

E mentre si buttano le occasioni, si buttano anche i libri. Fa male infatti scoprire che mentre il sistema bibliotecario italiano annaspa fra mille difficoltà si mettono in piedi iniziative come quella di Genova, dove i libri vengono venduti a peso, un tanto al chilo, per salvarli dal macero. Iniziativa benemerita, si capisce, perché un libro al macero è un pezzo di cultura che sparisce. Ma possibile che non si possa fare in modo che quei libri finiscano in qualche biblioteca di paese? Magari in uno di quei paesi che la biblioteca non ce l’ha ancora? Due giornalisti, Giangiacomo Schiavi, firma del Corriere della Sera, e Lanfranco Vaccari, già direttore dell’Europeo e del Secolo XIX, hanno rubato l’idea dalla Francia e l’hanno realizzata in Val Trebbia, in provincia di Piacenza: una rete di 15 librerie, sparse nei paesi più piccoli, e arricchite proprio dai libri salvati dal macero. E la domanda sorge spontanea: se si è fatto lì perché non si può fare anche altrove? E se l’hanno fatto loro perché non possono farlo anche altri?

Forse è vero che si pubblica troppo. Una volta ho chiesto a Fedele Confalonieri come mai non avesse mai scritto un libro di memorie e lui mi ha risposto: «Ho paura che qualcuno poi lo legga anziché leggere la Gerusalemme liberata». Come dargli torto? Ogni anno si pubblicano in Italia 70 mila novità editoriali, oltre 200 al giorno. Ci sono più persone che scrivono di quelle che leggono. E molti volumi sono destinati a passare direttamente dalla stamperia alle bancarelle dei remainders (le giacenze di magazzino cedute a commercianti che le rivendono a prezzi notevolmente ridotti, ndr). E poi, inevitabilmente, al macero. Però pensateci: non sarebbe bello se anziché finire in fumo quei libri servissero per aprire una biblioteca magari in uno di quelle migliaia di Comuni che la biblioteca non ce l’hanno mai avuta? Qualsiasi libro è meglio di nessun libro.

Poi, certo, bisognerebbe abituare i ragazzi a frequentarle. Anche dove non ci sono iniziative intelligenti come quella di Monopoli, che trasformano la biblioteca in un centro di aggregazione, con tanto di ottimo cibo e di wi-fi disponibile per tutti. Bisognerebbe spiegare ai ragazzi dell’era digitale che prendere in mano un tomo, un classico, un volume rilegato in pelle, può dare sensazioni migliori perfino di TikTok. Bisognerebbe spiegare che aggirarsi tra gli scaffali cercando l’incontro giusto con il proprio libro e il proprio autore, può dare più soddisfazioni di una storia su Instagram. Impresa impossibile? Illusioni di un innamorato della carta che ormai va mandato anche lui al macero come i libri? Forse. Ma la realtà è che il 70 per cento dei ragazzi al di sotto dei 19 anni (ancora rapporto Istat) non ha mai messo piede in una biblioteca. E forse è per questo che sono così infelici.

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