Se non c’è gas

Le fonderie già spostano le produzioni in orari da bollette minori, e i prezzi in crescita anticipano il crollo della domanda. Lo stesso vale per il vetro, per l’alimentare e qualsiasi attività che consuma energia. E poi per le nostre case.


Il sistema comincia a scricchiolare. Numerose fonderie sono state costrette ad anticipare le ferie a luglio, nonostante la mole di ordini. Il messaggio è corale: con questi costi energetici è meglio fermarsi.

Nei primi cinque mesi dell’anno la bolletta è arrivata a valere un terzo dei ricavi. Il settore spera di riprendere fiato in agosto, quando usualmente la richiesta di energia dell’industria è minore e i prezzi scendono del 30-40 per cento.
Ma quest’anno qualsiasi stima potrebbe saltare tanto più a fronte dell’incertezza sulla forniture russe. C’è chi sta spostando la produzione nelle ore e nei giorni della settimana di minor costo per ridurre i consumi dove è possibile. «L’autunno è un grosso punto interrogativo. In una settimana assistiamo a rincari anche del 40 per cento» spiega Fabio Zanardi, presidente di Assofond e amministratore delegato di Zanardi Fonderie. «I nostri associati lamentano che pur lavorando tanto, sono in perdita. L’aumento dei costi di produzione ci costringe a rivedere i listini quasi settimanalmente. Ci chiediamo per quanto possiamo andare avanti prima di assistere a un crollo della domanda. E fino a quando riusciremo a essere competitivi rispetto ai nostri concorrenti se non viene posto un freno alla crescita dei prezzi di materie prime ed energia». L’industria delle fonderie è costituita da circa mille imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, occupa 30 mila addetti diretti e fattura 6,5 miliardi di euro. Rifornisce mercati strategici come l’automotive, il trasporto ferroviario, gli impianti di energia eolica e l’industria meccanica. Quali sarebbero le conseguenze nel medio-lungo termine, della corsa inarrestabile dei costi energetici e di un giro di vite delle forniture di gas?
Il nodo è come sganciarsi da Mosca in modo indolore. L’Italia ha ridotto la dipendenza passando dal 40 al 26 per cento in un anno, ma non basta. Come non bastano i 27 miliardi di metri cubi di gas che Algeri esporterà nel nostro Paese nel 2022. L’Europa per anni si è proiettata verso la Russia, sarà in futuro appesa alle forniture del Maghreb. L’altro accordo, siglato dalla Ue con l’Azerbaigian per il raddoppio degli approvvigionamenti, richiede però, per l’Italia, l’adattamento del gasdotto Tap che approda in Puglia. E ci vuole tempo.

Massimo Beccarello, docente di Economia industriale all’Università Milano-Bicocca commenta che «il crollo delle forniture da Mosca rischia di impattare anche sull’energia elettrica. E i rincari continueranno per il 2024». Il blocco, per manutenzione, del gasdotto Nord Stream 1, indica che Mosca non vuole più garantire forniture costanti. Al momento il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha smentito le indiscrezioni di piani emergenziali e di misure di risparmio come il razionamento dell’illuminazione pubblica e un giro di vite su condizionatori e riscaldamento. Eppure in inverno il consumo di gas per uso civile può toccare i 141 milioni di metri cubi, oltre il doppio di quello industriale. La stretta è vista come una extrema ratio.

Confindustria, per mano del vicepresidente con delega all’energia, Aurelio Regina, ha messo a punto un documento in cui delinea lo «scenario avverso» del blocco totale del gas russo. Le acciaierie alimentate a gas rientrano nella categoria degli «interrompibili volontari», cioè non presentano impedimenti tecnici a un arresto o spegnimento purché vi sia «una rampa di discesa di alcuni giorni per definire i cicli». Questo non vale per l’ex Ilva, che essendo un impianto a ciclo integrale non può essere bloccato.
Va detto però che se lo stop dal punto di vista tecnico è possibile per l’80 per cento del settore, non è di fatto ammissibile perché significherebbe far restare a secco tutta l’industria manifatturiera.
I danni maggiori li avrebbero le vetrerie. «Una volta che spegniamo gli impianti non possiamo più riaccenderli perché il forno si danneggia. Va tenuto in attività ininterrottamente. Tant’è che durante il lockdown abbiano continuato a produrre vetro e a reimmetterlo nel forno con decine di milioni di perdite per ogni industria» spiega il direttore di Assovetro, Walter Da Riz. L’industria del vetro conta 32 aziende, 60 siti produttivi, circa 22 mila addetti e rifornisce i settori alimentare, medico e farmaceutico. La produzione è pari a 5 milioni di tonnellate l’anno e l’Italia è la seconda manifattura in Europa. «Per ricostruire un forno occorrono tempi e costi oggi —-insostenibili» dice Da Riz.
Le aziende alimentari sono notoriamente energivore. Le realtà più grandi, in un’ottica di risparmio, hanno installato sistemi di cogenerazione basati però su turbine a gas di cui ora non possono fare a meno.

L’industria della carta è già alle corde. Il presidente di Assocarta, Lorenzo Poli, ha sottolineato che le aziende «sono in difficoltà nel definire i contratti del gas per il prossimo anno termico dal momento che i principali fornitori, non sapendo quando arriveranno i rifornimenti dalla Russia, non si impegnano a garantire contrattualmente la consegna. Noi industriali invece stiamo già prendendo impegni commerciali con i nostri clienti, assumendoci, pertanto, un rischio elevato». Poli sottolinea che «il maggior fornitore elettrico sta inviando lettere di preavviso per la rescissione dei contratti in essere in quanto non sarebbe in grado di garantire le condizioni negoziate e sottoscritte». L’Italia è il secondo produttore (con +12,5 per cento nel 2021 dopo il -4,1 per cento del 2020) e riciclatore, in Europa di carta dopo la Germania.
Il razionamento del gas non fa piangere solo l’industria. La crisi dei rifornimenti russi avrebbe un impatto sui consumi civili. Una simulazione di Confindustria indica che diminuendo di 3 gradi il riscaldamento, il risparmio sarebbe di circa 30 milioni di metri cubi al giorno di gas, cioè quasi il 50 per cento del consumo industriale. Il paradosso è che a case meno calde corrisponderebbero comunque bollette «roventi» a causa degli elettrodomestici. Perfino una doccia calda potrebbe diventare un lusso.

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