Se Roma da «caput mundi» a città dei cinghiali

Roma caput immundi. Dove la campagna elettorale si è trasformata in un gigantesco romanzo fantasy, una mostra degli orrori, un circo Orfei dove mancano solo pitoni ed elefanti, e poi lo zoo è servito. L’ultima scena strabiliante, di cui possiamo vedere testimonianza video, è lo sciame di cinghiali che ha paralizzato il traffico di via Trionfale. Non uno, ma un’intera famiglia di bestioni zannati che costeggiano la fila di automobili, con la tranquillità di chi si sente a casa sua. Ecco, l’impressione è che il cinghiale a Roma abbia preso la residenza: ormai gli animali selvaggi camminano sul selciato millenario a testa alta, senza paura, sono le nuove truppe d’occupazione della capitale. Ci siamo abituati a vederli non soltanto nelle zone periferiche: ormai transitano davanti alle scuole elementare, nei mercati, davanti a bar e ristoranti. Tra poco probabilmente costituiranno la maggioranza, e conquisteranno il Campidoglio formando una giunta in coalizione con topi e pantegane.

I romani, come al solito, davanti alla scena zoologica si stupiscono, ma neanche più di tanto. Come sempre sopportano sornioni, con il disincanto di chi in duemila anni di storia ha visto transitare barbari di ogni natura, oggi pure a quattro zampe. Siamo arrivati al punto che a Roma i romani si sentono stranieri in patria: una sensazione ben riassunta con ironia su twitter: “Roma, cinghiale filma un signore vicino al cassonetto”.

Eppure stavolta abbiamo superato i limiti. Con la centralità del dibattito occupata dai cinghiali, per cui la Raggi incolpa la regione per l’invasione degli animali, viviamo l’ennesimo shock di una corsa elettorale surreale, dove Pd e Cinque Stelle litigano per la paternità di una statua dedicata alla porchetta, in strade martoriate da buche grandi come canyon. Una deriva da avanspettacolo plasticamente rappresentata dalla scheda elettorale mostrata in un video da Maurizio Gasparri. Un lenzuolo cartaceo di un metro e 20 per 70, grande come una tenda da campeggio, che probabilmente faticherà ad entrare nella cabina del voto. Del resto, la scheda doveva ospitare l’assalto di centinaia di candidati, in una campagna elettorale che tuttavia verrà ricordata per il confronto scadente tra i protagonisti. Anonimi, deboli, impegnati a scambiarsi insulti sul piano personale. Le linee programmatiche sono una scatola vuota, come dimostrano gli slogan privi di contenuto dei vari candidati: “Roma torni capitale”, “L’Italia del riscatto”, “Roma, e tutti noi”. Fuffa, all’ombra del cupolone. I problemi veri, la sicurezza, le periferie, la tenuta sociale dei quartieri più difficili dell’Urbe? Quelli sono argomenti che sono finiti nel cassonetto. Nuovo simbolo di una città unica al mondo che non merita un simile spettacolo.

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