sabato, 23 Novembre 2024
Siamo pronti a coccolarvi
Il primo a capirlo è stato Paul Bocuse. Il grande chef francese alla sua prima visita in Vietnam restò folgorato. Dovunque tu entrassi eri accolto da sorridenti benvenuto che ti procuravano uno stato di benessere vicino alla felicità. «Li voglio anche da me a Collonges» decise all’istante. «Rendono moltissimo e non costano niente».
È quello che, ripartendo, farà la vera differenza tra il prima e il dopo Covid nel piacere di andare a mangiare fuori. In questi mesi di chiusura, insieme alla voglia di andare a mangiar fuori abbiamo maturato il desiderio di riappropriarci della libertà perduta. Soprattutto nel grande ristorante. Basta fare l’alunno obbediente che procede all’assaggio del capolavoro, basta con il maître supponente, basta col menu degustazione obbligato di tre ore. Adesso vogliamo sentirci a nostro agio, circondati da persone attente, ma non ingessate, che nel servirci diano l’impressione di provare lo stesso piacere che proviamo noi nell’essere serviti. Protagonista della serata è il benessere dell’ospite, non l’esibizione del cuoco o del sommelier.
È l’accelerazione di un fenomeno che già esisteva. Fino a pochi anni fa il bistrot e il ristorante a tre stelle erano mondi separati. Man mano i confini sono arretrati lasciando spazio alla libertà individuale: dove un tempo non si entrava senza cravatta, oggi ci si può sedere in bermuda; si può bere Coca Cola con il caviale o una Barbera con gli spaghetti alle vongole senza che il maître alzi il sopracciglio. È quella che Alain Ducasse chiama «gastronomia dello stato d’animo», non cerimonia imposta, ma gesto cucito addosso alla personalità dell’ospite.
Come lo stile libero di Alfredo Buonanno al Krèsios di Telese Terme; quello familiare-alto dei Santini, padre e figlio, del Pescatore a Canneto sull’Oglio; quello al femminile di Michela Scarello del ristorante Agli Amici a Godia o di Mariella Organi alla Madonnina del Pescatore a Senigallia. Sono solo alcuni dei 159 indirizzi di Noi di Sala, l’associazione nata per ridare visibilità all’accoglienza.
Un osservatorio privilegiato sarà Portofino dove, da quest’estate, si confrontano Carlo Cracco negli spazi dell’ex Pitosforo, storico blasone in piazzetta; i fratelli Cerea, il team di Vittorio a Bergamo, appena approdati allo Splendido Mare, la dépendance sul porticciolo dell’hotel Splendido e, a Paraggi, la Langosteria Mare, dove Enrico Buonocore regala ai clienti il piacere di cenare pieds-dans-l’eau. Tre protagonisti del lusso a tavola, tre interpretazioni dell’accoglienza.
Un’arte impalpabile il cui maestro indiscusso è Arrigo Cipriani che ha costruito il suo successo sulla cura dell’ospite: dal rapporto tra il piano del tavolo e l’altezza della sedia per garantirgli la massima comodità, alla «voce amica», il piccolo sconto riservato agli habitué della Casa.
Gennarino Esposito, della Torre del Saracino a Vico Equense, lo sa: «Spesso mi capita di chiedere ai clienti come si sono trovati e di sentirmi rispondere “magnificamente”. Eppure non ricordano che cosa hanno mangiato». Aggiunge Antonino Cannavacciuolo: «Il cliente lo devi viziare. Devi fargli sentire che hai pensato a lui, che ci pensi e ci penserai. Non ti deve sfuggire nulla, neppure un dettaglio. Lui però non se ne deve accorgere». La mappa mentale che influenza il gradimento è complessa al punto che «il sottofondo sonoro, il colore del piatto, una luce sbagliata, possono farci avvertire nel piatto differenze che non esistono» scrive Vincenzo Russo, docente di Psicologia dei consumi e autore di Neuroscienze a tavola. Figuriamoci se l’accoglienza è fredda, se manca l’armonia tra sala e cucina, se i camerieri sono distratti e impreparati, se la carta dei vini è piena di errori.
D’altra parte, concordano gli Istituti Alberghieri, sono pochi i ragazzi che puntano a far carriera col servizio di sala. Tutti sognano di diventare cuochi fenomeno protagonisti di una puntata di Master Chef. O meglio, sognavano. Perché la pandemia, facendo crollare molti dei loro idoli, ha spostato il baricentro. Un maître, un sommelier, un cameriere sono figure versatili, un po’ psicologi, un po’ storyteller, un po’ diplomatici, utili ovunque serva saper accogliere con garbo e fronteggiare le situazioni più disparate. Da un’azienda a un negozio di lusso.
Oggi la nuova generazione di professionisti di sala si propone con orgoglio. Vincenzo Donatiello, restaurant manager di Piazza Duomo ad Alba, ha riassunto il senso alto del mestiere nel titolo provocatorio del suo libro-vade-mecum Io servo. A Intrecci, Scuola di Alta formazione di Sala, a Castiglione in Teverina, gli iscritti oltre a scienze degli alimenti, principi di economia, enologia e sicurezza sul lavoro, studiano marketing, comunicazione e public speaking.
E il livello continua a salire: il master di Polidesign, una forma di ingegneria sociale che si sta attivando al Politecnico a Milano, contiene una sezione in Welcoming Design, mirata al ruolo che il savoir faire nel servizio può svolgere nelle relazioni diplomatiche. Piero Pompili, proprietario e uomo di sala del Cambio a Bologna, così ha riassunto il suo lavoro che, ha confessato in un’intervista, all’inizio gli sembrava «da sfigati» e ora lo appassiona: «In fondo stare nella sala di un ristorante non è poi così diverso dallo stare ad Hollywood». Mica male.
Dal Milanese
Con il nuovo ristorante Dal Milanese viene reinventata l’idea di trattoria: un luogo informale con una cucina tradizionale dalle origini casalinghe che incontra una curatissima ambientazione internazionale. Neon e insegne storiche, foto originali, quadri, stampe di pubblicità, lampade di Venini e ancora, mattoni a vista, solai in legno dei primi del Novecento, pavimento in parquet a spina di pesce sono solo alcuni degli elementi, sia di design e arredamento sia di restauro architettonico, che, come sempre nelle sue creazioni, riescono a dare un tocco di estro e originalità mantenendo la tipica personalità che contraddistingue i locali firmati Luca Guelfi.
L’idea da cui l’imprenditore è ripartito ha però anche un forte richiamo alla “Milano da bere” degli anni Ottanta. «Prima di questa terribile pandemia Milano era ormai confermata come una delle capitali avanguardiste del mondo. L’inizio del 2020 stava dando segnali entusiasmanti, grazie ai grandi investimenti internazionali, hotel e ristoranti sempre fully booked. Fiere, eventi, moda, design: tutto girava intorno a Milano. Con l’arrivo del Covid-19 la città, e il mondo, si sono fermati e tutti i progetti sono stati cancellati. È stato un anno terribile, soprattutto per la ristorazione», ha affermato Luca Guelfi. «L’idea di aprire un ristorante dedicato alla mia città ha lo scopo di celebrarla e contribuire a farla tornare come l’avevamo lasciata».
In un palazzo del 1920, in zona Tricolore a Milano, sono disposti un totale di 90 coperti, 50 interni e 40 esterni, incorniciati da atmosfera, luci e cocktail bar che accompagnano il cliente in un viaggio gustoso cullato da una colonna sonora riprodotta da un giradischi per cui l’ospite stesso sceglie i grandi classici della musica italiana.
L’executive chef Emanuele Gasperini, già alla guida di Saigon a Milano e Big Sur in Costa Smeralda, propone un menù che cambia tutti i mesi, in base alla stagionalità, ma mantiene sempre i piatti tipici e imprescindibili della tradizione culinaria milanese; anche la scelta degli ingredienti avviene tra produttori selezionati dell’eccellenza lombarda.
Seta
Il ristorante Seta (2 stelle Michelin) all’interno del Mandarin Oriental Milan riapre con tre nuovi menù degustazione: La Via del Seta, L’Orto Verticale e il nuovo Una Finestra sull’Estate.
La Via del Seta è un percorso di 7 portate, ideale per conoscere o ritrovare i piatti simbolo del ristorante come l’”Astice blu con zabaione al passito di Loazzolo, patate e tè Matcha” e il “Riso in cagnone con polvere di lampone e crema di verdure”. Le proposte di questo viaggio nel gusto evidenziano i cardini della cucina di Chef Guida, dall’influenza francese con il sapiente uso delle salse, all’utilizzo di ricercati ingredienti locali e della sua terra natale, la Puglia, fino a eleganti tocchi d’Oriente.
L’Orto Verticale è invece la proposta vegetariana del Seta. Un menù di 7 portate dedicato alla cucina vegetale, dove gusto e tecnica si sposano con la leggerezza e il benessere di ingredienti stagionali. L’uso di ortaggi e verdure richiama la cultura salentina cara allo Chef: un omaggio alla sua terra, sublimato da uno studio attento e da una tecnica sicura, cui si aggiungono tocchi orientali come nello “Scalogno con aloe vera al cocco e salsa alla curcuma”.
Il terzo nuovissimo menù Una Finestra sull’Estate, dedicato alla primavera e alla rinascita, è caratterizzato dalla freschezza dei piatti proposti: un autentico inno di buon auspicio che guarda al futuro con fiducia e ritrovata serenità.
Tutti i menù sono accomunati da una filosofia sostenibile e biodinamica estremamente chiara e consapevole: gli ingredienti utilizzati provengono da piccoli produttori e il tracciamento della materia prima, da sempre fondamentale per Chef Guida, è stato rafforzato ulteriormente. Un’alta attenzione è riservata anche alla tutela del nostro mare, evitando la pesca intensiva e collaborando solo con realtà certificate.
Tomà
Tomà è un locale nato per proporre i sapori italiani in un ambente unico nel suo genere: l’ingresso, situato lungo Via Pompeo Magno al civico 12, e che si trova dinanzi al balcone del maestro Marcello Mastroianni, suggestiva coincidenza, introduce i clienti in uno spazio dallo stile senza tempo, dove le pareti definiscono la sala di un verde ottanio, ribattezzato verde “Tomà”, una tinta che trasmette natura e vitalità, rinascita e fascino. Il servizio di Tomà inizia a mezzogiorno e coincide con la pausa pranzo articolandosi per il resto della giornata tra aperitivo, e cena, senza dimenticare l’interessante carta dei cocktail. Una proposta dal banco, ricca, dinamica e multiregionale, con una formula di barra alla spagnola capace di farvi mangiare a tutte le ore e una proposta dalla cucina, fatta di piatti di grande impatto emotivo e intensi sapori ideali da condividere.
La linea è quella di Andrea Nepa, classe 76, reduce dal successo di Pastorie al Pigneto e con esperienze di respiro internazionale in Spagna (El Cellerai de Can Roca) e in Inghilterra (Barbican Center e Instituite of Directors) che per Tomà ha creato, invece, un menu molto rock ma dalla forte impronta tradizionale.
Una cucina concreta e genuina, di sintesi e di prospettiva grazie ad assaggi sfiziosi, alcuni dei quali serviti su fette di pane taylormade, un lievitato panificato in esclusiva per Tomà dal forno “Bottega Popolare”. Più sostanziosi alcuni rarissimi piatti da trovare oggi nel menu di un ristorante, che hanno superato mode e contaminazioni, quelli che tutti mangiano ed apprezzano ma di cui pochi parlano.
Il Carignano Pop
Carlo&Camillo, lo storico bistrot e contraltare dell’anima stellata del ristorante Carignano, oggi nel dehors esterno dell’Hotel Sitea a Torino, riapre con una nuova formula, Il Carignano pop. Questo “Locale Storico d’Italia” dal gusto classico, a tratti raffinato, di Carlo Alberto di Savoia, si unisce alla passione per la buona cucina verace del Conte Camillo Benso.
In carta piatti della tradizione come la carne cruda di fassona, il vitello tonnato, l’agnolotto gobbo piemontese al sugo d’arrosto e il carpione di Grissinopoli di vitella piemontese, si arricchisce dello sfarzo e alta cucina dei principi di Carignano, con una proposta giornaliera del ristorante stellato Il Carignano. A guidare la nuova offerta gastronomica lo chef Fabrizio Tesse: «Riapriremo il ristorante stellato dal 4 maggio con soli tre tavoli nel dehors, ma per Il Carignano Pop ci siamo ispirati alle abilità di mediazione politico di Camillo Benso: abbiamo quindi inserito delle proposte più gastronomiche nel menu classico del bistrot e per dare a tutti la possibilità di provare la cucina dello stellato in chiave pop, anche in questo periodo, all’aperto».
«Da vero artigiano della cucina vorrei trasmettere sapori riconosciuti, che tutti noi abbiamo nella nostra memoria, partendo dalla selezione delle materie prime, proposte però in una nuova veste e diversi abbinamenti. Innovazione e tradizione, perché si innova, si recupera e si evolve una tradizione antica adattandola alle sfide, alle conquiste e alle esigenze dei nostri tempi» ha raccontato lo chef Tesse.