Sound of Freedom, la recensione di Roberto Recchioni

I motivi per cui, in USA, Sound of Freedom è finito sotto i riflettori hanno quasi nulla a che spartire con l’effettiva qualità del film e molto di più con la politica, il clima culturale del paese e le tensioni della società. Quindi, prima di affrontare anche noi questi aspetti (che sono chiave per capire davvero il fenomeno che questa pellicola rappresenta), sgomberiamo il campo e parliamo del film in quanto tale, senza prendere in considerazione tutti gli elementi accessori. E sotto questo punto di vista, con una certa sorpresa devo dire che Sound of Freedom non è un brutto film.

Diretto con mano solida e sicura da Alejandro Monteverde (un giovane regista messicano, qui alla sua prima produzione importante), prodotto da un mucchio di gente proveniente dell’area più estremista della cristianità americana (tra cui, Mel Gibson), distribuito da una compagnia legata al protestantesimo evangelico (la Angel Studios) e interpreta (tra gli altri) da due picchiatelli complottisti di QAnon (una corrente politica di estrema destra i cui membri sostengono una articolatissima teoria del complotto) Jim Caviezel e Mira Sorvino, Sound of Freedom racconta la storia (vera) di Tim Ballard, un ex agente operativo della CIA che ha dedicato la sua vita alla lotta alla tratta di esseri umani (e sostenuto, pure lui, varie teorie QAnon), in special modo lungo il confine con il Messico.

Ora, data le premesse, si poteva pensare che la pellicola sarebbe stata pura propaganda per Ballard (personaggio a dir poco controverso con accuse pesanti sulla testa) sia un delirio complottistico pro-Trump a base di Deep State (il governo ombra che dominerebbe l’ordine mondiale e gli Stati Uniti in particolare) e Pizza Gate (un presunto scandalo che vedeva noti esponenti dei democratici, tra cui i coniugi Clinton, coinvolti nel traffico di bambini per abusare di loro e berne il sangue). In realtà, solo una di queste due aspettative ha trovato poi conferma nel film perché, sì, la pellicola è una elegia di Tim Ballard, che viene rappresentato come un puro eroe americano che sacrifica la sua vita in nome di un bene collettivo (e, non a caso, per intepretarlo è stato chiamato Jim Caviezel, che per Gibson era stato Gesù di Nazareth nel film La passione di Cristo) ma no, il film non diffonde le teorie QAnon. Ora, se per voi i film che rappresentano personaggi reali, edulcorandoli e facendone un santino ideologico, sono un problema, allora questa non è proprio la pellicola che fa per voi (questo significa che odierete alla stessa maniera anche film come J. Edgar di Clint Eastwood, Milk di Gus Van Sant, Lincoln di Spielberg e gran parte delle biografie che Hollywood ci propina). Se, invece, sarete capaci di astrarvi da questo aspetto, scollando la realtà dai fatti raccontati dalla pellicola, vi ritrovete davanti a un discreto thriller, ben costruito, con un buon ritmo, una bella fotografia e una scrittura solida. Non un film particolarmente significativo o distintivo ma assolutamente dignitoso e capace di fornire un più che discreto tasso di intrattenimento.

Qualcosa per cui spenderei dei soldi andando al cinema a vederlo? No. Qualcosa che vedrei tranquillamente sul divano di casa mia perché presente nel catalogo di qualche piattaforma? Sì.
E con questo, non è che ci sia poi molto da aggiungere sul film in quanto tale. Possiamo passare alla ciccia vera e parlare del perché Sound of Freedom sia diventato così importante negli USA.

Perché Sound of Freedom è diventato così importante negli USA

Partiamo dall’inizio: come è prodotto questo film?
Da una cordata di investitori privati provenienti dalla sfera dell’attivismo evangelico (tra cui Gibson, appunto) che hanno messo i soldi per girarlo. A quel punto, il film è stato venduto a una sussidiaria latina della 20th Century Fox, nel 2018 ma, in seguito all’acquisizione della compagnia da parte della Disney, il film è stato messo in un cassetto per non essere mai distribuito. A quel punto, gli investitori di cui sopra, hanno deciso di ricomprare il film e per farlo si sono rivolti alla Angel Studio, una compagnia distributiva specializzata in pellicole evangeliche, che ha dato il via a un’operazione di equity crowdfunding, un meccanismo di finanziamento dal basso con cui ha offerto, a un selezionato gruppo di investitori, la possibilità di mettere dei soldi su una pellicola in cambio di una quota partecipativa al possesso della pellicola stessa. In centomila hanno aderito e la Angel Studios ha raggiunto la cifra di cinque milioni necessaria per rilevare il film dalla 20th Century Fox e distribuirlo su scala mondiale.

Ed è questo punto che le cose si sono fatte ancora più interessanti perché, con una oculata campagna di marketing volta principalmente a spingere il film in quella che viene chiamata la “Bible Belt” (letteralmente “La cintura della Bibbia”, la fascia centrale degli stati americani, caratterizzata da una forte connotazione religiosa) e con un’interessante politica del “biglietto sospeso” (si sono invitati gli spettatori più abbienti e comprare biglietti in più al botteghino, da rendere disponibili per gli spettatori meno abbienti), il film è diventato un enorme successo commerciale nel 2024.
Cosa significa “enorme successo commerciale”? Che ha incassato 250 milioni di dollari a fronte di un investimento di 15. Solo negli USA.

Per capirsi, nello stesso anno, Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno ne ha incassati, nel mondo, 567, a fronte di un budget per realizzarlo di 291.
E Tom Cruise e Scientology, muti.

Questi numeri hanno posto Sound of Freedom non solo sulla vetta dei film indipendenti di maggior successo di ogni tempo, ma anche molto in alto nella classifica dei film (in genere, non solo indipendenti) più profittevoli della storia del cinema.

E questo successo ha raccontato molte cose.

La prima, quella più interessante un poco per tutti, è che una via diversa alla produzione e alla distribuzione del sistema delle major, esiste, può essere praticata, avere successo e portare enormi guadagni, a patto di intercettare un pubblico interessato.
La seconda, un poco più problematica, è che esiste un pubblico a cui Hollywood una volta parlava e a cui non parla più, quel pubblico radicalmente tradizionalista (e un poco reazionario), che boicotta le recenti produzioni Disney (portatrici di valori inclusivi) ma che è comunque affamato di nuove opere che non li trattino come bifolchi subumani.
La terza, inquietante, è che a parte durante la Guerra Civile Americana, mai gli USA sono stati un paese così intimamente diviso e contrapposto.

Comunque sia, ora Sound of Freedom arriva anche da noi per i tipi di Dominus Production, una casa di distribuzione (che segue un modello abbastanza simile a quello di Angel Studios) specializzata in opere a tema religioso, con una spiccata propensione per quelle antiabortiste.
Che è una posizione come un’altra (in realtà, no) ma che, secondo me, è bene conoscere prima di andare in sala a dargli dei soldi.

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