Spiragli della trattativa ma i dubbi restano, soprattutto nella mente di Putin

Qualcosa si muove. Qualcosa si muove sul campo di battaglia in Ucraina e sul tavolo dei colloqui ad Istanbul. Al punto che oggi sono in molti (compresi i mercati azionari che di solito, ci azzeccano) a pensare che oggi un accordo sia quantomeno «possibile», non più una follia, un’utopia.

Domani ne sapremo di più ma è innegabile che la giornata odierna sia una delle più importanti delle ultime due settimane di questa invasione della Russia in Ucraina.

Cominciamo con la cronaca, anzi, con le dichiarazioni delle due parti che si sono ritrovate ad Istanbul davanti ad un Erdogan quanto mai pimpante in questo ruolo a dir poco sorprendente di «paciere». Al tavolo si è presentato persino Roman Abramovich, l’oligarca russo che stando ad alcune indiscrezioni di stampa uscite ieri, sarebbe stato addirittura vittima di un avvelenamento da parte dei russi nella prima fase dei colloqui tra le due parti. Una presenza distensiva e significativa.

Al termine delle prime ore di colloqui sono arrivate le dichiarazioni a dir poco positive. Le due parti hanno reciprocamente parlato di dialogo «costruttivo». Mosca spiegava che le proposte ricevute da Kiev, sulla Crimea e soprattutto sulla sua neutralità presente e futura, saranno analizzate da Putin stesso, cui toccherà dare una risposta. Da Kiev ci si spingeva oltre, arrivando addirittura a parlare di incontro Zelensky-Putin possibile, a breve.

Le borse cominciano a volare, il prezzo del petrolio a scendere. Ma non mancano i dubbi, soprattutto da Washington che si aspetta «fatti, non parole».

Tutto questo dalla Turchia, ma le notizie buone (per la pace) arrivavano anche da Mosca. Il Ministero della Difesa annunciano una «riduzione degli sforzi militari a Kiev e non solo», a conferma di quello che i presenti raccontavano da giorni, cioè dei soldati russi che arretravano dalla capitale. Una dichiarazione parsa però fin troppo tranquillizzante e pregna di euforia per il Cremlino che poco dopo teneva a spiegare che «riduzione non significa cessate il fuoco».

Questi i fatti che corroborano analisi cominciate da giorni. La guerra è infatti in una fase di stallo. I russi faticano a sbarcare ad Odessa e togliere sbocchi al mare agli ucraini, la cui resistenza non si piega, anzi. Se c’è una truppa che oggi ha il vento in poppa e tutto l’entusiasmo del mondo è quella di Zelensky; i russi invece arrancano e sembrano un po’ depressi.

In tutto questo c’è la convinzione che se si fermassero oggi i cannoni, alla fine tutti avrebbero modo di dire di aver vinto salvando, soprattutto a Mosca, la faccia.

Putin porterebbe a casa il Donbass, la promessa che mai sul territorio ucraino ci saranno armi e soldati della Nato; Zelensky griderebbe (a ragione) al mondo di aver respinto l’invasore, di aver salvato Kiev e alla fine la rinuncia al Dombass non sarà così drammatica visto il rischio corso in queste settimane.

A tutto questo va aggiunto che l’Europa potrà dirsi ricompattata (più per paura di una guerra globale in casa che per convinzione politica), gli Usa di aver riportato la Nato nei pensieri dei vari governi al punto da convincerli ad aumentare le spese militari come chiedevano da anni, la Cina di aver salvato il rapporto con Mosca e gli affari con l’occidente. Insomma, un successo per tutti (popolo ucraino e vittime a parte). Resta solo un dubbio.

Nessuno sa cosa deciderà lo Zar al Cremlino; un Putin sempre più isolato anche internamente oltre che a livello internazionale ma che purtroppo ragiona con criteri diversi da quelli della logica e del buon senso. La palla è nelle sue mani. Ed è qui che si addensano tutte le nubi. È un po’ come se si trattasse di una conclusione fin troppo bella e precisa per riuscire a diventare vera. L’inganno è dietro l’angolo e, se anche mai si dovesse trovare un accordo, ci sarebbero tempi lunghi, altri morti, altro dolore.

La guerra non è ancora finita.

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