Strage del Ponte Morandi di Genova: l’inchiesta, il processo

Sono passati cinque anni dal giorno in cui il Ponte Morandi di Genova, si è spezzato uccidendo 43 persone. Una strage che avrebbe potuto essere evitata soprattutto alla luce delle ultime dichiarazioni di Gianni Milon, ex amministratore delegato della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e Atlantia nel processo in corso sul crollo del ponte. «Nel 2010 emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico». Frasi choc che potrebbero far cambiare il corso del processo in atto.

Le fasi del processo

Il processo del Ponte Morandi è iniziata 4 anni dopo il crollo a settembre del 2022. Un maxiprocesso in piena regola con centinaia di parti civili e con 71 persone tra ex dirigenti, tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava delle manutenzioni) e dirigenti del ministero delle Infrastrutture e del provveditorato, oltre alle due società iscritti dalla procura nel registro degli indagati. Un procedimento iniziato dopo un lunghissimo incidente probatorio articolato in due fasi. La prima riguardante lo stato del viadotto, analizzando i reperti, al momento del crollo, con lo svolgimento di indagini e l’acquisizione di dati e valutazioni tecniche e scientifiche quali la descrizione e l’accertamento delle condizioni nelle quali versavano i manufatti crollati delle parti del viadotto. Mentre nella seconda fase, si è entrati invece nel vivo dell’inchiesta, analizzando le cause del crollo.

Il filone principale delle indagini ha infatti portato a giudizio 59 persone tra ex vertici e tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava di manutenzioni e ispezioni), attuali ed ex dirigenti del ministero delle Infrastrutture e funzionari del Provveditorato, chiamati a rispondere a vario titolo di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Mentre le due società (imputate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti) sono uscite dal processo tramite un patteggiamento.Per l’accusa, buona parte degli imputati immaginava che il ponte sarebbe potuto crollare ma non si attivò. Le difese puntano invece a sostenere che la responsabilità del crollo sia da attribuire a un difetto nella costruzione originaria. «Oggi le udienze sono giornaliere e sono state calenderizzate fino a luglio 2023, e dopo le dichiarazioni choc di Milon viene a cadere il castello della difesa che ha improntato sui vizi di costruzione del ponte»-commenta Egle Possetti famigliare presidente del Comitato dei Parenti delle Vittime del ponte Morandi.

I risarcimenti Aspi ha risarcito il 99% degli eredi delle vittime con 67 milioni. Gli unici a non avere accettato è la famiglia Possetti. Per loro la società ha depositato un assegno da un notaio. Autostrade ha previsto un importo di 3.4 miliardi come compensazione legata al crollo. In questa cifra è stato individuato l’importo per definire l’accordo transattivo con la città di Genova, il Porto, la Regione. Sono stati stanziati nel periodo 2018/2020 la quasi totalità dei circa 500 milioni di cui 314 per la demolizione e sgombero delle aree, ricostruzione del ponte e delle opere accessorie; 39,35 milioni come indennità di esproprio per gli immobili produttivi nelle aree sottostanti e limitrofe al ponte; 75,5 milioni come indennità di esproprio per gli immobili residenziali nelle aree sottostanti e limitrofe; e 32 milioni a circa 20 aziende della zona rossa come indennizzi per la perdita delle attrezzature. A questi si aggiungono 32 milioni in iniziative ai privati che, a vario titolo, hanno subito disagi nell’immediatezza dell’evento nonché a imprese e ad attività commerciali che hanno subito un pregiudizio economico.

Inchiesta bis

A ottobre 2022, la procura di Genova ha chiuso le indagini per la cosiddetta inchiesta bis collegata al crollo del ponte Morandi, e che riunisce tre diversi filoni: i falsi report sullo stato dei viadotti, le barriere antirumore pericolose e il crollo della galleria Bertè in A26 avvenuto il 30 dicembre 2019 e il mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel. Sono 46 le persone indagate, 10 le posizioni archiviate. Le accuse, a vario titolo, sono falso, frode, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo. Tra gli indagati l’ex ad Giovanni Castellucci, gli ex numeri due e tre di Aspi Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli e Stefano Marigliani, ex direttore di tronco.

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