sabato, 23 Novembre 2024
Su Autostrade siamo finiti in vicolo cieco
Sono passati quasi due anni dal crollo del Ponte Morandi di Genova, avvenuto il 14 agosto 2018, e nulla di quanto annunciato dai governi Conte 1 e 2 è avvenuto: la concessione autostradale non è stata tolta all’Aspi, nonostante le numerose inadempienze riguardo alla manutenzione della rete (le ultime rivelate proprio in questi giorni dalla Procura di Genova), e i “famigerati” Benetton sono ancora proprietari della società. Vi ricorderete tutti le parole durissime con cui gli esponenti del governo Conte a partire dall’ex ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli promettevano l’estromissione della famiglia di Ponzano Veneto. Invece è ancora tutto come prima, tranne per le lunghe code provocate soprattutto in Liguria dai lavori di manutenzione che ora Aspi si è affrettata a fare.
E la fine dell’era Benetton? Forse, piano piano, ci avviciniamo al momento fatidico del passaggio di proprietà di Aspi. Magari grazie anche all’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi che potrebbe in qualche modo dare un colpo di acceleratore ad una storia infinita.
Il penultimo capitolo risale al 14 luglio scorso, quando Atlantia, società quotata di cui la famiglia Benetton controlla il 30%, ha accettato di avviare una trattativa per cedere Aspi (Autostrade per l’Italia) ad un consorzio formato da Cdp con i fondi Macquarie e Blackstone. Le parti hanno iniziato a trattare ma i negoziati non sono partiti benissimo: ci sarebbero state due offerte preliminari che avevano valutato Aspi dagli 8,5 ai 9,5 miliardi con una serie di condizioni che sono state rifiutate da Atlantia. L’ultima offerta di fine febbraio, questa volta vincolante, avrebbe valutato Aspi 9,1 miliardi ed è stata approvata dal cda di Cdp dove è presente l’attuale ministero del tesoro. Ma anche questa offerta è stata respinta da Atlantia.
La cifra di 9,1 miliardi sarebbe infatti inferiore rispetto a quanto stimato da Atlantia e dai suoi azionisti, che invece valutano la società autostradale 11-12 miliardi. Il fatto è che l’ultima offerta di Cdp e alleati tiene conto dell’andamento economico di Aspi, del calo del traffico, della cassa che viene bruciata. Il 6 marzo Aspi ha reso noto che il 2020 si è chiuso con una perdita di 398 milioni di euro, rispetto al rosso di 291 milioni del 2019. Quindi il valore dell’azienda è diminuito, sostengono i consulenti di Cdp.
Apparentemente ci siamo infilati in un vicolo cieco: Cdp e i suoi alleati, in particolare Macquarie, hanno presentato quella che ritengono l’offerta massima, mentre Atlantia la considera irricevibile. Di conseguenza si sono diffuse le voci di un ritiro di Macquarie dall’operazione visto che il venditore non sembra voler cedere. Altre fonti invece riferiscono che la trattativa prosegue e che un accordo si troverà.
In attesa di un intervento salvifico di Draghi e di una chiusura di questa vicenda, resta l’ennesimo scontro tra il velleitarismo dei 5 Stelle e la realtà: l’idea di punire ed espropriare i Benetton, di sostituire Aspi con l’Anas, di liberare un bene pubblico come le autostrade dalle logiche del mercato, come vagheggiava l’attuale ministro degli Esteri Luigi di Maio, si è infranta paradossalmente proprio con le logiche di mercato. Con società quotate in borsa che trattano fino all’ultimo sul valore di Aspi sul mercato. Appunto.