Sul finale di She-Hulk, e più in generale su tutta la serie di She-Hulk

She-Hulk finale

Seguono considerazioni assortite sul finale di She-Hulk: Attorney at Law, sul senso da dare allo stesso, sulla serie nel suo complesso (rima non voluta) e sul fatto che determinate cose, se giochi con un personaggio reso famoso dalle sue gag meta, non è che *puoi* farle anche in TV. Devi. Ovviamente, da qui in poi, [SPOILER] sull’episodio finale.

She-Hulk finale recensione

COME IN UN LUNGO APPLAUSO AL PARCO DIVERTIMENTI BIG WHOOP

Non è semplice. Che il finale di She-Hulk: Attorney at Law potesse scontentare una buona fetta dei suoi spettatori era scritto. Non nelle stelle, ma nella storia dell’intrattenimento. Quando punti tanto sul metareferenziale, utilizzando dei personaggi per rompere ogni divisione tra realtà e finzione, portandoli dietro le quinte e dall’altra parte di uno schermo, c’è chi troverà la cosa divertente e chi no, perché voleva invece restare dentro la storia e avere un contenuto godibile di per sé. È come, se proprio dobbiamo scomodare GLI ESEMPIONI™, il finale di Monkey Island 2, o l’applauso di Neon Genesis Evangelion. Ma, dicevamo, il punto è che una serie su She-Hulk, per essere fedele allo spirito del personaggio di cui parla, queste cose DEVE farle. Lo strano, in altre parole, sarebbe stato non averle, assistere a un finale semplice, con lo scontro con i cattivi e alè, ciao.

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K.E.V.I.N. C.H.I.?

E qui si crea quasi inevitabilmente una spaccatura nel pubblico, appunto. Chi il personaggio lo conosce, e sa che dai tempi di John Byrne è stato quasi sempre caratterizzato così, come in grado non solo di sfondare la quarta parete e parlare con chi ne segue le avventure, come Malcolm di Malcolm, ma proprio di prendere in giro il media fumetto che la ospita. Passando ad esempio in mezzo alle pagine pubblicitarie di un albo per prendere una scorciatoia, chiedendo al suo autore dei fondali migliori e così via. Se questo lo conosci e apprezzi, vederla armeggiare con il menu di Netflix, lanciare per aria le guardie giurate dei Marvel Studios o irrompere nella writers’ room della serie ti fa sorridere, e concedi perciò a Jen pure tutto il resto. Come far apparire e sparire nemici e guest-star, far piovere dal cielo una ri-comparsata di Daredevil, ingaggiare quel dialogo con K.E.V.I.N., il robot alla base di tutto l’MCU, il Feige deumanizzato. E pure lì, è esattamente come quando la She-Hulk a fumetti si rivolgeva a John Byrne o i Fantastici Quattro si imbattevano in Stan Lee e Jack Kirby.

Senza contare l’incubo di Jen, in cui la sua versione selvaggia diventa protagonista di un omaggio alla vecchia serie su Hulk di fine anni 70, con Bill Bixby e Lou Ferrigno.

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OK, MA TUTTI QUELLI CHE I FUMETTI DI SHE-HULK NON LI HANNO MAI LETTI?

Ma le produzioni MCU sono fruite da centinaia di milioni di persone che un fumetto Marvel non solo non l’hanno mai letto, ma non hanno probabilmente alcuna voglia di farlo. Legittimamente, eh: non è che puoi costringere qualcuno a leggere dei comics, se gli basta e avanza la versione live-action. Ed ecco, per quest’altra, consistente fetta del pubblico, è facile che un finale come quello di She-Hulk sia inconsistente. Che li deluda, li faccia sentire defraudati di una conclusione “vera”, dopo il tempo investito nella serie.

Attenzione, non voglio dire con questo che i due insiemi sono a tenuta stagna: si può incazzare per quel finale anche un fan Marvel (difficile, ma possibile) e può esser contento della meta-giostra anche chi è a digiuno dei fumetti di Jen (idem). Dipende sostanzialmente da quello che ti aspettavi, e da come hai vissuto quello che invece ti hanno messo in tavola. La differenza tra sorpresa e tradimento, o quanto meno sorpresa-non-gradita, qui è sottile.

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E IN GENERALE, LA SERIE?

Ecco, qui non mi sento affatto di dar torto a chi ha trovato le idee buone dello show diluite in un numero di episodi eccessivo per quanto c’era in ballo. La parte centrale della serie di She-Hulk l’ho trovata piuttosto fiacca, con un’infilata di almeno due-tre puntate tutte costruite su una singola idea (il matrimonio, il club di Abominio per ex villain pezzenti) che venivano buone come sottotrame insieme ad altro, magari. Ma non avevano la schiena sufficientemente robusta per reggere il peso di un intero episodio, e cioè di un’intera dose settimanale di She-Hulk.

Comprendo le ragioni che portano le piattaforme a spalmare queste produzioni sul numero maggiore possibile di episodi, per riempire il catalogo e tenere il palinsesto Marvel “in onda” pressoché senza interruzioni, ma credo che gli stessi contenuti, in una serie più compatta da cinque-sei episodi, avrebbero funzionato molto meglio.

Questo non toglie che una serie comica, tutta improntata su un tipo di umorismo ammiccante, si prende la briga di parlare di revenge porn e di cyber-bullismo, facendosi beffe della tossicità di alcuni fandom (compreso ovviamente quello MCU). Ed è una cosa ottima, perché qualcuno deve pur ricordare ai tizi che s’incazzano per una serie TV o un film che stanno solo perdendo tempo e avvelenando i pozzi, ma di sicuro non avrà contribuito – ecco – a tirare dalla propria parte gli alfieri del review-bombing, i paladini dei rant in caps lock, gli esagitati con la sindrome da accerchiamento. Un pistolotto giusto per dire: poi, a vedere certe recensioni e certi pareri sulla serie, bisogna fare la tara pure per quello. Distinguere chi sta giudicando una serie, appunto, e chi invece sta giudicando la serie che si è permessa di giudicarlo, /parolacce.

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SKAAR TISSUE

Poi sì, la sua importanza per “il grande quadro” dell’MCU, She-Hulk ce l’ha avuta comunque. Molto più di tante altre serie Marvel che l’hanno preceduta, a ben vedere, visto che ha mostrato in azione per la prima volta il nuovo-vecchio Daredevil, ha riportato in pista Hulk e, buttandola proprio lì, come una spugnetta omaggio alla cassa del supermercato, anche il figlio di quest’ultimo. Skaar, il figlio avuto da Hulk su Sakaar. Nei fumetti, il feroce, rancoroso Skaar arriva sulla terra nel corso della World War Hulk, la sfida lanciata da Hulk ai super-eroi che lo avevano spedito a tradimento su Sakaar.

Nessuno ha mai detto che i colossi verdi hanno una grande fantasia con i nomi, sì.

Qui il contesto sembra ovviamente molto, molto, molto diverso, con la gita alla riunione di famiglia dei Walters, ma prima o poi qualcuno ci spiegherà da qualche parte da dove salta fuori questo ragazzone qui. Se invece vi state chiedendo perché il personaggio, sotto la cui CGI c’è il ventenne Wil Deusner, abbia quell’acconciatura orribile lì,

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vi si deve proprio ricordare che il barbiere, sul pianeta Sakaar, lo fa il vecchio Stan, con questa mano-macchinetta? E allora.

 

 

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