mercoledì, 27 Novembre 2024
Sull’Ilva il Governo va sotto per colpa del Pd
Draghi ha lasciato di soppianto il Consiglio europeo chiedendo a Macron di leggere l’intervento italiano, per correre al Quirinale a incontrare Mattarella e subito dopo i vertici dei partiti di una maggioranza che non tiene più. Durante la notte infatti, mentre Draghi era a Parigi, il governo è andato sotto in commissione bilancio su quattro emendamenti al decreto milleproroghe.
Non si è trattato però, come ora racconta Enrico Letta, di un bliz notturno. Nè è vera la sua ricostruzione che fa ricadere tutta la colpa alla Lega.
Il governo è andato sotto su un articolo che riguardava ilva, e che solo la Draghi e Lega hanno difeso fino all’ultimo minuto. Su Panorama avevamo annunciato in anteprima ciò che sarebbe accaduto, perché aldilà di ciò che racconta oggi il Pd, i segnali c’erano tutti. E nessuno nel frattempo ha fatto niente per evitarlo.
Tutto nasce la vigilia di capodanno, quando il consiglio dei ministri inserisce all’unanimità nel decreto Milleproroghe un articolo che sposta 575 milioni, la metà di quelli recuperati con un accordo transattivo con la famiglia Riva su spinta dell’allora governo Renzi e il procuratore di Milano Greco, e li trasferisce dalla disponibilità dei commissari dell’amministrazione straordinaria (di nomina politica) a quella dell’azienda che ora gestisce gli impianti, cioè Acciaierie d’Italia (joint venture Invitalia e Arcelormittal). Nel Milleproroghe era scritto chiaramente che quei fondi restavano finalizzati al piano ambientale e alle bonifiche.
Come abbiamo già raccontato, da quando ha fatto ingresso nell’acciaieria di Taranto ArcelorMittal ha già speso oltre un miliardo per il piano ambientale, ed è in dirittura di arrivo per completarlo nei tempi previsti entro il 2023.
All’amministrazione straordinaria resta invece il compito di bonificare le aree del perimetro aziendale libere da impianti (perlopiù discariche); mentre dal 2012 è stato istituito un Commissario Straordinario per le bonifiche con fondi dedicati (di cui oltre la metà invece sono stati consumati, nel silenzio di tutti, per infrastrutturare il porto).
Dopo il varo del milleproroghe dal consiglio dei ministri subito si sono scatenati due reduci del Conte bis: Francesco Boccia e Mario Turco, che ormai fuori dal governo non erano stati sentiti per una questione che territorialmente considerano loro.
E nonostante non veniva tolto un euro alle bonifiche, sono scesi in piazza con l’usb accanto all’ex sindaco di Taranto (fatto cadere dalla sua maggioranza) al grido “no allo scippo di Taranto”.
A quel punto gli stessi esponenti di pd e 5 stelle hanno detto che nessun partito si sarebbe potuto presentare in campagna elettorale avendo compiuto quello scippo. E hanno lasciato solo la Lega, non rappresentata in città, a difendere il governo. Salvini lo aveva detto nella prima conferenza stampa dopo l’elezione di Mattarella: “non ci può essere un ministro che lavora per difendere l’acciaio e altri per distruggerlo”. Dopo di che è sceso in campo direttamente Draghi, che ha incontrato personalmente il presidente di Acciaierie d’Italia Franco Bernabè. Da quel momento chi toccava quell’articolo sapeva che metteva a rischio direttamente il governo e il presidente del Consiglio. Eppure nessuno ha ritirato l’emendamento soppressivo.
Nonostante in tutte le commissioni consultive in cui è passato, l’articolo è sempre stato difeso da tutti i membri del governo e i parlamentari di maggioranza.
Finché è arrivato l’ultimo giorni utile per il voto. Nel pomeriggio Enrico Letta ha incontrato insieme a Francesco Boccia al largo del Nazareno il sindaco di Taranto decaduto. Dopo l’incontro con il segretario, l’ex sindaco è andato a incontrare i parlamentari alla Camera e al Senato. Le elezioni si avvicinano, e per il Pd è importante mantenere il controllo su Taranto, la Dubai del sud Italia dopo tutti i soldi che stanno arrivando da quando è stato istituito il cis nel 2015. E non si può vincere la campagna elettorale con lo “scippo” alla città da risarcire.
Arriva la notte del voto, e guardavacaso il Pd da a Francesco Boccia il compito di portare avanti la discussione affidando proprio a lui, che in tutti questi anni ha sostenuto la tesi della chiusura della fabbrica e contrastato i decreti del pd che l’hanno tenuta in piedi, il tema Ilva.
Boccia dopo aver incontrato il presidente Bernabè si presenta con una riformulazione dell’articolo, che prevede il trasferimento all’azienda di 150 milioni di quelle somme per le bonifiche (un mini scippo) a un patto: che vengano autorizzate da un decreto interministeriale “d’intesa con il Presidente della Regione puglia”. A quel punto forza italia e Italia viva fanno saltare la trattativa. Boccia prova a trasformare quell’”intesa” in “sentito il Presidente”, ma non basta, ormai la discussione si è accesa. Ultimo tentativo Boccia prova a inserire Michele Emiliano come commissario ad acta per gestire questi soldi del mini scippo. Taranto ha gia sette commissari: prefettizio da quando è caduto il Sindaco del pd, i tre dell’amministrazione straordinaria, quello straordinario alle Bonifiche, quello dell’autorità portuale, e quello della camera di commercio. Ci mancava solo il commisariamento di Michele Emiliano. Che gia ha deciso il prossimo candidato di Taranto sia per il centrosinistra che per il centrodestra (entrambi uomini suoi).
A quel punto nonostante il tentativo fino all’ultimo momento del movimento 5 stelle di raggiungere un accordo, il tavolo è saltato e l’articolo del governo è stato soppresso lasciando solo la Lega a difesa di Draghi.
Il Presidente del consiglio è a Parigi, gli arrivano i messaggini di Emiliano “non fare come Renzi, su Ilva ti bruci”.
Dove per non fare come Renzi intende: non fare che prima non mi telefoni. Lo conferma in una dichiarazione un altro dei suoi fedelissimi, da lui catapultato nel listino di Taranto, che quella notte difendeva il governatore accanto a Boccia “avevano provato a inserire una norma su Ilva senza sentire gli enti locali”. Un’azienda di interesse strategico per la nazione ancora piegata alle prebende locali. Fosse stato per loro oggi non avremmo la tap, mentre continuano a bloccare non solo tutte le richieste di ricerca idrocarburi ma anche di impianti eolici, per poi spegnere le luci per protesta contro il caro bollette come fa il sindaco di Bari Decaro.
Il Pd ha buttato a mare Draghi per difendere Emiliano.
Il premier torna di corsa da Parigi e succede il putiferio. Lui si trova un altro lavoro, ma sa che la partita di ilva è molto più grossa di quella del governo. Entro maggio deve essere completata la vendita con altri 700 milioni, poi servono 4,5 miliardi per il nuovo piano industriale. Invitalia ha gia messo 35 milioni per la nuova società del dri che servirà tutte le acciaierie d’Italia.
Anche su questo il governo rischia di spaccarsi. Mentre il pd, proprio in forza del rapporto con Bernabè, sostiene il nuovo piano, il vice Conte Mario Turco è stato netto: «Non possiamo accettare soluzioni di riconversione industriale, nella prospettiva della decarbonizzazione, su cui peraltro si nutrono forti dubbi di sostenibilità economica e di cui non si conoscono i contenuti dell’investimento, il fabbisogno finanziario complessivo, il piano industriale, gli obiettivi produttivi, la relativa valutazione di convenienza economica, senza un rafforzamento della tutela ambientale e della salute pubblica”.
La guerra continua: il pd favorevole al nuovo piano ilva, 5 stelle che sembrano riabbracciare le promesse di chiusura. Dimenticando che è proprio sotto il governo Conte bis che il leader 5 stelle decise di stracciare l’accordo Calenda che dava ad Arcelormittal il compito di finanziarie il nuovo piano, decidendo di statalizzarla sobbarcando costi e perdite allo stato.
E cosi dopo la sfuriata di Draghi, il ministro del lavoro Orlando ammette la colpa dei suoi e dice di voler reintrodurre quell’articolo salva Ilva, magari con un prossimo decreto.
Mentre Conte con un tweet si prende i meriti di aver evitato lo scippo di Taranto tentato dal Governo e promette il reimpiego di oltre 1000 operai… eppure la Viceministra 5 stelle Laura Castelli quella notte in commissione a nome del governo si era espressa contro.