mercoledì, 5 Febbraio 2025
Sundown – La recensione del film di Michel Franco da Venezia 78
L’imprevedibilità degli eventi sembra essere un tratto distintivo di Michel Franco, regista messicano che torna in concorso a Venezia dopo il distopico Nuevo Orden, Gran Premio della Giuria nel 2020. Anche Sundown riflette sulla violenza che funesta il suo paese, ma stavolta la mette in relazione con l’atmosfera rilassata di Acapulco, meta balneare per eccellenza.
È proprio qui che vanno in vacanza Neil e Alice Bennett (Tim Roth e Charlotte Gainsburg), eredi di una ricca famiglia inglese, insieme ai figli di quest’ultima. Quando una tragica notizia li costringe a tornare in patria, Neil trova un espediente per rimanere, abbandonando la sorella e i nipoti mentre lui continua a godersi l’oceano in compagnia di una ragazza locale.
Rivelare altri dettagli sarebbe un disservizio nei confronti del film, perché Franco imposta una narrazione lineare ricca di svolte improvvise: per gran parte del racconto – molto compatto: sono solo 83 minuti – non abbiamo la minima idea di quale sia il nucleo della trama, la sua direzione. Franco è bravo a toglierci i punti di riferimento, riducendo al minimo il montaggio alternato per concentrarsi quasi esclusivamente su Neil. Gli scoppi di violenza sono repentini, vengono assimilati dall’ambiente come se fossero la norma, e spesso non ci sono spiegazioni. In effetti, Sundown rifugge ogni didascalismo, e assegna allo spettatore il compito di interpretare gli eventi. Parabola umana al tramonto, analisi silenziosa delle dinamiche familiari, il film di Michel Franco lascia inebetiti per il suo flusso continuo e straniante, dove non c’è mai tempo di elaborare l’accaduto. Il regista osserva le vicende di Neil con la gelida distanza di un entomologo, senza dare giudizi o propinarci una morale. La narrazione non è particolarmente complessa (anzi, è piuttosto elementare), ma riesce a tenere avvinto il pubblico grazie alla sua imprevedibilità, con una fluida alternanza di sequenze dove spesso non succede nulla, salvo poi sorprenderci nei momenti più inattesi.
Peccato che il finale sia un po’ frettoloso e laconico, forse coerente con la natura del protagonista. Il silenzio che accompagna molte scene di Sundown ritorna anche qui, trasmettendo un profondo senso di desolazione esistenziale. È la stessa reazione di Franco davanti alle trasformazioni di Acapulco, dove passava le vacanze da bambino: divenuta “un epicentro di violenza” (parole sue), la città vive il contrasto fra l’idillio vacanziero e la brutalità della sopraffazione, suscitando un’alienazione che il film trasmette con efficacia.