The Brutalist, film monumentale di cemento e sentimenti

A Venezia 2024 molti davano
giustamente vincente ‘The Brutalist’ che poi ottenne il secondo
premio in ordine d’importanza, il Leone d’argento – Premio
speciale per la regia andato a Brady Corbet. Ai Golden Globes
andò ancora meglio, fece tris nei ‘piani alti’: miglior film,
regia e attore protagonista, Adrien Brody. Infine agli Oscar
corre in ben dieci categorie tra cui: film, regia, attore
protagonista, attore e attrice non protagonista (Guy Pearce e
Felicity Jones), sceneggiatura e colonna sonora. Fin qui i
numeri di un film ‘monumentale’ anche per la durata, 215 minuti,
che racconta, tra poca realtà e molta fantasia, l’odissea
dell’architetto ebreo ungherese László Tóth (Adrien Brody). La
storia melodrammatica, esaltata dalla pellicola 70 mm e dalla
musiche di Daniel Blumber, di quest’uomo sopravvissuto
all’Olocausto, di questo genio tormentato, problematico, drogato
e forse anche abusato che emigra in America nel 1947, lasciando
l’amata moglie malata (Felicity Jones) in Europa. Negli States
inizialmente vive in estrema povertà finché incontra un
singolare mecenate tanto pieno di sé quanto poco intelligente
(Guy Pearce), che gli dà un incarico importante che potrebbe
finalmente riscattarlo.
    Questo solo l’inizio di una incredibile vita piena di alti e
bassi che fa riferimento a ‘La fonte meravigliosa’, romanzo del
1943 della scrittrice russo-americana Ayn Rand e poi film con
Gary Cooper, con la vicenda umana di un architetto
rivoluzionario contro il conservatorismo dell’establishment.
    ‘The Brutalist’, in anteprima a Roma in alcune sale e dal 6
febbraio in tutta Italia, è un film contaminato da gigantismo
alla ‘Faust’ di Sokurov, un’opera totale wagneriana animata
della stessa poetica brutalista di cui il protagonista del film
è un precursore.
   

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