Titane, la recensione del film che ha trionfato a Cannes

È una lei, ma potrebbe essere anche un lui. Parliamo della bambina sui sedili posteriori dell’auto di un papà alla guida sempre più infastidita dal grugnire che la figlia fa appositamente per innervosirlo. Basta un attimo di distrazione ed ecco l’incidente. Si salvano, ma lei dovrà vivere per il resto della sua vita con un pezzo di titanio nel cranio. Stacco: siamo ad un motor show, anni dopo. Con un lungo piano sequenza seguiamo una delle ragazze che poco dopo si strofineranno sulle auto a ritmo di musica per la gioia dei presenti. Ha la stessa ferita della bambina del prologo. In sottofondo c’è Doing it To Death dei The Kills. Ecco i flash, le richieste di autografi, una collega che flirta. Lei sembra distante, si sente a suo agio solo toccando l’auto. Ed infatti, dopo un evento abbastanza cruento che la vedrà protagonista, è proprio all’interno della macchina che cercherà, da sola, ondeggiando e legandosi polsi e gambe che scaricherà la sua adrenalina…

Non andiamo oltre. Raccontare la storia di Titane significa rischiare di rovinarne alcune delle sue impreviste, e in alcuni casi anche avvincenti, svolte narrative. Il film – vincitore a sorpresa della Palma d’Oro del festival di Cannes – è tanto piacevolmente originale nello sviluppo dei suoi personaggi, non solo la protagonista, ma anche Vincent, l’uomo che l’accoglierà in quella che può essere considerata la seconda parte della pellicola, quanto in alcuni casi, purtroppo, poco credibile. Va bene il creare un mondo grottesco fuori dalla realtà, ma in quel contesto tutti devono quantomeno comportarsi in maniera logica. Ed invece non è così. È questo il più importante, se non vero unico difetto di una pellicola altrimenti ricca di trovate visive, capace di rendere una storia horror da una parte una metafora su femminilità e maternità che strizza l’occhio ad Alien, dall’altra una riflessione sui corpi, contenitori di personalità che vorrebbero andare oltre la carne per provare a sentirsi a posto nel mondo.

Con Titane, la regista francese Julia Ducournau, classe 1983 e già vincitrice a Cannes del premio Fipresci con il film d’esordio, Raw – Una cruda verità (2016), dimostra che anche in Europa è possibile l’horror d’autore, che ci sono ancora territori visivi e narrativi da esplorare capaci di strizzare l’occhio tanto all’intrattenimento quanto a chi cerca qualcosa di più impegnato.

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