Ucraina: Nato e Ue sempre distanti, per la gioia della Russia

La via d’uscita per allentare la crisi ucraina potrebbe nascere dalla risposta che gli Usa hanno fornito alla Russia mercoledì scorso, ma senza renderla pubblica. Fonti diplomatiche Usa fanno sapere che pur rifiutando le “garanzie di sicurezza” proposte da Mosca, a Washington si desidera proseguire il dialogo. Le richieste di Vladimir Putin sono il ritiro delle forze Nato dalle nazioni che vi sono entrate dopo il 1997 e lo stop all’allargamento dell’Alleanza a Est, ma su questo i funzionari stessi della Nato hanno ribadito il principio secondo il quale le nazioni vicine alla Russia dovrebbero essere in grado di scegliere la propria strada in materia di difesa e sicurezza. Secondo gli analisti occidentali quest’idea non si adatta a quella del Cremlino, dove il presidente Vladimir Putin sta coltivando sogni di restaurare la grandezza passata dell’Unione Sovietica facendo leva su linee etniche, religiose e linguistiche, almeno considerando che se non ci trovassimo nel periodo post-pandemico, con l’economia in ginocchio e forti tensioni internazionali, la crisi dell’Ucraina sarebbe rimasta a un livello di scontro politico e diplomatico tra due grandi potenze. Invece in caso di battaglia si rischia un conflitto dai confini indefiniti, l’ennesimo disastro umanitario, la paralisi degli scambi commerciali dalla tecnologia agli alimentari, la crisi finanziaria e soprattutto quella energetica. A perderci sarebbe l’Europa assetata di gas, ma subito dopo cadrebbe l’economia russa che perderebbe l’esportazione di uno dei suoi beni primari.

Per mediare è però necessario trovarsi con qualche buona carta in mano da poter giocare, e a parte sventolare con riluttanza una deterrenza militare e minacciare sanzioni “mai viste prima” verso Mosca e contemporaneamente aiuti militari all’Ucraina, a occidente non c’è poi molto che si possa fare, salvo accettare una parte delle richieste russe.

In realtà quella in corso è una crisi dalla storia lunga e forse gli Usa hanno finalmente capito che per aprire qualche finestra diplomatica è necessario ritornare a quanto si era deciso dopo la firma del Protocollo di Minsk II del 2014. L’anno successivo, era la prima decade di febbraio 2015, Francia, Germania, Russia e Ucraina, insieme con l’Ocse approvarono una serie di regole per evitare l’allargamento della guerra nel Donbass. Queste norme prevedevano un diverso assetto costituzionale per Kiev, maggiore autonomia nelle regioni di etnia russa e naturalmente il cessate il fuoco con la reciproca liberazione dei prigionieri. L’Ocse avrebbe controllato anche l’applicazione dei protocolli sul bando di talune armi a media e lunga gittata oltre un determinato calibro con il loro allontanamento dal fronte. L’intento fu la creazione di una zona “sicura” ampia da 50 a 140 km da entrambe le parti nella quale non ci sarebbero stati più pezzi d’artiglieria né postazioni missilistiche. A sponsorizzare anche oggi questa soluzione è la Francia, che la definisce “Format Normandia” perché fu in occasione del 70° anniversario dello sbarco alleato che i quattro Paesi si incontrarono per alleviare le sofferenze delle popolazioni del Donbass, regione dell’Ucraina orientale dove dal 6 aprile 2014 separatisti filorussi hanno portato alla proclamazione delle repubbliche popolari di Doneck e Lugansk.

Ma gli accordi di Minsk non furono rispettati da nessuna delle due parti, come ha ricordato anche il nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi nel dicembre scorso. Che i francesi abbiamo da sempre l’interesse a dimostrare che la Nato è un’alleanza superata è cosa nota, come è noto che siano i soli nel Vecchio continente a poter guidare una Difesa europea, stante che dalla Brexit in poi rimangono gli unici a disporre di armi nucleari. Ma Londra, seppure abbia detto fin dall’inizio che non avrebbe inviato truppe a combattere in Ucraina, sta però preparando una legge che prevede il congelamento dei beni di importanza strategica appartenenti a società e cittadini russi, nonché la revoca dei visti emessi a favore dei dirigenti delle aziende russe definite “sensibili”.

La mossa inglese sottolinea come Europa e Nato si muovano ancora su piani differenti e scoordinati: gli Stati Ue parlano infatti di spedire armi in Ucraina senza tenere nella giusta considerazione l’unico governo che non è d’accordo, quello di Berlino. I paesi europei vedono ancora le loro relazioni con la Russia attraverso obiettivi bilaterali, ecco perché sono stati messi da parte, tanto che l’Unione Europea non ha alcun ruolo formale nei negoziati in corso. Del resto i funzionari del governo tedesco sono fermi sulla loro posizione di inviare solo aiuti che “non sparano, né esplodono”, sostenendo che un aumento delle capacità di combattimento dell’Ucraina sarebbe comunque insignificante rispetto a quella russa ma ulteriormente destabilizzante. Così ancora una volta la posizione dell’Europa è disunita e questa volta vede isolato il suo più grande attore economico, la Germania. Il risultato è che l’UE ha di nuovo lasciato un vuoto che

gli americani sono costretti a riempire, anche se devono tenere alta l’attenzione anche verso il mar cinese meridionale, dove la crisi Cina-Taiwan è lontana dal risolversi.

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