Un Cuore artificiale permanente, al via i primi impianti sperimentali nel 2025

(di Manuela Correra) Un cuore artificiale permanente che possa rappresentare, nel prossimo futuro, una possibile ed efficace alternativa al trapianto dell’organo biologico per i pazienti con insufficienza cardiaca grave, spesso costretti, data la scarsità di organi trapiantabili, a lunghe liste di attesa. Non un miraggio, ma un obiettivo che appare ora sempre più vicino: entro il 2025 saranno infatti impiantati in via sperimentale i primi cuori hi-tech a durata ‘no limits’ frutto della ricerca dell’azienda francese di tecnologie mediche Carmat. L’annuncio in occasione di un incontro con la stampa nello stabilimento produttivo di Bois D’Arcy, a pochi chilometri da Parigi.

Nei laboratori – definiti ‘Chambre blanche’ (Camera bianca) perchè completamente sterili e dove lavorano circa 20 tecnici e 60 ingegneri, con una capacità produttiva di 500 cuori l’anno dal 2024 – i cuori artificiali vengono prodotti e assemblati. Una catena di montaggio ‘per la vita’ dove il ruolo dell’uomo, accanto a quelle delle macchine e dei robot, resta fondamentale in varie fasi della costruzione dell’organo tech, che richiede circa 2 mesi per ogni singolo dispositivo ed il cui costo, attualmente, si aggira intorno ai 200mila euro. Il cuore artificiale totale è oggi utilizzato, con il primo impianto effettuato da Alain Carpentier nel 2013, con l’indicazione di ‘ponte verso il trapianto’ per i pazienti affetti da insufficienza cardiaca biventricolare terminale e incapaci di trarre beneficio da una terapia medica o da dispositivi di assistenza ventricolare (Vad). In questo modo, si stabilizza il paziente e si migliora la sua qualità di vita mettendolo in grado di attendere il trapianto a casa invece che ricoverato in ospedale, con evidenti benefici clinici ed un miglioramento delle condizioni di salute, che permette di affrontare al meglio il successivo trapianto, oltre che risparmi per il Ssn.

Il cuore tech è collegato ad un sistema esterno portatile (tramite un tubicino dall’addome) per l’alimentazione attraverso pile e per monitorarne il funzionamento. Dal 2013 il cuore artificiale completo Carmat (unico autorizzato e commercializzato in Ue) è stato impiantato in 84 pazienti in Europa e 3 in Usa, dove è autorizzato dalla Fda anche un altro dispositivo. Quattro sono i casi in Italia: dal 2021, due impianti sono stati effettuati all’ospedale Monaldi di Napoli, uno al Niguarda di Milano ed uno al San Camillo di Roma. Sul totale, 30 pazienti hanno poi ricevuto il trapianto (inclusi i 4 italiani).

Il trapianto resta dunque l’obiettivo ultimo ma il problema sta nella scarsità di organi disponibili a fronte di un aumento costante della domanda: l’insufficienza cardiaca è infatti in aumento a livello globale (riguarda 64 mln di persone nel mondo con una mortalità a 5 anni tra 50 e 75% e causa 200mila ricoveri l’anno solo in Italia) ma i 6mila trapianti effettuati ogni anno nel mondo coprono appena il 10% del fabbisogno totale. In Italia sono stati 370 i trapianti di cuore nel 2023, a fronte di 668 pazienti in lista ed un tempo medio di attesa di 3,7 anni.

Da qui l’obiettivo di arrivare al cuore artificiale permanente, quale alternativa definitiva al trapianto. Un traguardo più vicino grazie alla tecnologia militare, la stessa applicata ai missili: “Entro l’estate – spiega Stephane Piat, Chief executive officer Carmat – potremo disporre di una nuova e super sofisticata scheda elettronica, parte centrale del cuore artificiale, progettata per non andare incontro a deterioramento, prodotta da un’azienda italiana di satelliti. Arriva dalla tecnologia applicata ai missili e sarà miniaturizzate per essere inserita nell’organo hi-tech, rendendolo così duraturo e mirato ad un impianto permanente”.

Sarà una innovazione importante, ma già attualmente il cuore artificiale totale “rappresenta un sostituto efficiente e sicuro del cuore come soluzione ponte”, commenta Claudio Francesco Russo, direttore della Cardiochirurgia al Niguarda e che ha effettuato uno degli impianti. Tuttavia, “esiste ancora un grosso gap culturale rispetto all’uso di tali dispositivi, tra medici e pazienti, che può essere colmato – conclude – solo attraverso un ampliamento della conoscenza dell’efficacia e dei risultati del cuore meccanico impiantabile”. 
   

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