Un fiume di metanfetamine dall’Afghanistan pronto a invadere l’Italia

‹‹Temiamo che con l’arrivo dei Talebani al potere in Afghanistan l’Europa venga sommersa dalle droghe prodotte in quel Paese››. Non usa mezzi termini un investigatore esperto nel contrasto al traffico di stupefacenti, attivo da molti anni nel Nord Italia che prevede che oppio, eroina e le metamfetamine invaderanno il lucroso mercato delle droghe. Timori particolari sono legati alla metamfetamina, la droga del momento. In Europa il consumo cresce costantemente e chi ne fa uso appartiene a tutte le fasce della popolazione attiva, dagli studenti alle madri di famiglia, che la assumono quotidianamente, anche sul posto di lavoro, finendo intrappolati nel tunnel della dipendenza. In Europa, dietro al cosiddetto “crystalmeth” c’è un business da 20 miliardi di euro all’anno che ora a fa gola anche ai cartelli messicani.

Per tornare all’Afghanistan la produzione di metamfetamina è iniziata attorno al 2015 ed era diretta principalmente ai consumatori della Repubblica islamica iraniana. L’Iran dei pii ayatollah ha gravi problemi con le tossicodipendenze e secondo un recente studio apparso sulla rivista Limes ‹‹una stima ufficiale risalente al 2017 ipotizzava che quasi tre milioni di iraniani, su una popolazione di quasi 83 milioni di abitanti, avessero problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti. L’oppio, il cui consumo è tradizionale, è la droga di gran lunga più popolare insieme all’eroina. Si è diffuso però anche il consumo di cocaina e droghe sintetiche: secondo le stime sopracitate, i tossici di metamfetamina erano poco meno di 250 mila. I consumatori, tenendo conto di chi ne fa uso occasionale e dei poliassuntori, sono sicuramente di più: nella sola Teheran si ritiene l’abbiano provata almeno una volta più di mezzo milione di abitanti››

Poi anche i trafficanti afghani hanno capito le potenzialità di una pianta che cresce rigogliosa sulle inospitali colline dell’Afghanistan centrosettentrionale, l’Ephedra sinica detta anche oman dalla quale si estrae il principio attivo contenuto nella pianta, l’efedrina, che viene utilizzata come precursore per produrre la metamfetamina. E come arriva in Europa? Secondo la nostra fonte investigativa: ‹‹Le rotte sono le stesse utilizzate per far arrivare i migranti che a volte trasportano le sostanze come abbiamo appurato in alcuni porti italiani, vedi Ancona o in Puglia››

Non solo metamfetamine, perché tra le sostanze che vengono assunte per sballarsi, non dormire e non sentire la fatica c’è anche lo shaboo, la droga sintetica che rende moltissimo ai trafficanti attivi in particolare a Roma, Firenze, Padova, Cagliari, Bologna. Recentemente a Milano durante una perquisizione sono stati sequestrati 710 grammi shaboo per un valore di mercato di più di 300 mila euro. Una dose da 0.1 grammi costa tra i 30 e i 50 euro mentre se si vuole fare provvista e comprarne un grammo con il quale ricavare 10 dosi il costo si aggira tra i 150 e i 200 euro.

Chi spaccia? La nostra fonte non ha dubbi: ‹‹La criminalità organizzata italiana gestisce il grande traffico ma a spacciare poi sono i cinesi e i filippini che sono anche grandi consumatori di queste sostanze››. Ma a loro si sono aggiunti da qualche tempo (almeno dal 2012) anche gli iraniani che non solo trafficano nella sostanza, ma la raffinano nel Nord Italia come emerso in alcune inchieste milanesi. Gli iraniani attivi nel commercio di pelli parlavano al telefono di “tappeti” un fatto che insospettì la polizia che li ascoltava da tempo nell’ambito di una vicenda legata al traffico di esseri umani. I tappeti non erano altro che pacchi di shaboo. Complesso per le autorità anche identificare la sostanza perché non ha alcun odore e per questo inganna anche i cani antidroga presenti negli aeroporti italiani.

Per tornare all’inferno afghano, la produzione di metamfetamina è oggetto di alcuni recenti studi della International Drug Policy Unit della London School of Economics, del progetto europeo Eu4Monitoring Drugs (Eu4md) e della Global Initiative Against Transnational Organized Crime, studi che dicono che la produzione oggi può soddisfare le richieste di tutto il Medio Oriente e come farla arrivare nelle piazze e nelle discoteche italiane è un gioco da ragazzi. Traffici che non si sono certo fermati durante la pandemia: ordinazioni attraverso canali come Telegram, Wickr o Signal, consegne in luoghi predefiniti e segreti, pagamento anche in criptovalute. Di fatto nemmeno il Covid-19 ha fermato il traffico della droga e questo emerge dalle lettura della Relazione 2021 su droghe e tossicodipendenze, stilato dall’Agenzia europea. La relazione Emcdda (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction) racconta di ‹‹come il mercato della droga continui ad adattarsi ai cambiamenti radicali causati dal Covid-19, in quanto i trafficanti di droga si sono adeguati alle restrizioni di viaggio e alla chiusura delle frontiere››

Dr. Federico Baranzini, Medico – Specialista in Psichiatria Psicoterapeuta, Dottore in Psicofarmacologia Clinica Università degli Studi dell’Insubria

In qualità di psichiatra oltre che dei disturbi d’ansia e depressivi, si occupa di dipendenze dal 2002 avendo lavorato sia in contesti di disintossicazione e diagnosi, sia in contesti di recupero e riabilitazione quali comunità terapeutiche per disturbi di personalità, doppia diagnosi e dipendenze patologiche, sia infine ambulatorialmente dove seguo i pazienti dimessi dai contesti residenziali sopracitati.

Dottor Baranzini, che tipo di dipendenza è quella dalle metanfetamine (MET)?

Le metanfetamine sono potenti psicostimolanti e possono indurre dipendenza come tutte le sostanze di abuso che agiscono sul sistema limbico (particolare regione del cervello adibita alla elaborazione del piacere e della ricompensa) attraverso quello che in medicina è noto come fenomeno della tolleranza, ovvero con l’uso cronico il corpo si “abitua” alla sostanza che perde con il tempo il suo effetto obbligando il consumatore ad aumentarne le dosi. Le metanfetamine non inducono una vera e propria dipendenza fisica, come per esempio gli oppiacei (eroina), ma possono indurre nell’utilizzatore cronico che ne interrompe l’assunzione una cosiddetta sindrome da astinenza (che può durare fino a qualche settimana) caratterizzata da comportamenti e stati d’animo quali: sentimenti depressivi, abulia e apatia, craving (voglia compulsiva a cercare una nuova assunzione di sostanza), crisi d’ansia ma anche paranoie e comportamenti violenti o impulsivi. Il vero problema però è lo stato di dipendenza psichica che queste sostanze inducono. Che danni provocano queste sostanze e in quanto tempo si finisce nel tunnel? Dalle foto che spesso si vedono i danni che sono spaventosi.

Le metanfetamine sono derivate delle anfetamine ma inducono effetti maggiori. Si presentano sotto forma di polvere o cristalli più frequentemente e come tali possono essere assunte oralmente, sniffate, fumate attraverso apposite pipette o più raramente iniettate endovena. L’effetto si esplica più rapidamente se assunte endovena o quando fumate. La rapidità dell’effetto, la sua intensità e piacevolezza (almeno nei primi periodi di assunzione) sono le principali ragioni per cui una dipendenza si può instaurare molto rapidamente. Ovviamente esiste un ampio range di variabilità legato a molti fattori, tra cui genetici, personologici e culturali. Agendo su particolari circuiti neurotrasmettitoriali quali quelli della dopamina, noradrenalina e serotonina le metanfetamine inducono alterazioni massicce della neuromodulazione di tali circuiti e a lungo andare producono effetti tossici e danni anche irreversibili. Incentri più colpiti sono la corteccia cerebrale o sostanza grigia che sovrintende alle funzioni cognitive superiori e all’elaborazione dei sensi, il lobo limbico adibito all’integrazione delle esperienze di piacere (in primis la gratificazione alimentare e sessuale) e delle emozioni e i nuclei della base e del tronco encefalico adibiti alla regolazione del movimento e delle funzioni neurovegetative (battito cardiaco, sudorazione, temperatura corporea e pressione arteriosa). In queste aree maggiormente colpite dall’uso cronico delle metanfetamine il cervello appare “eroso” con riduzione della concentrazione di neuroni e soprattutto dendriti (la parte arborificata del neurone che si estende dal corpo cellulare), in particolare sono proprio le terminazioni sinaptiche dopaminergiche ad essere distrutte e compromesse. I danni e le complicazioni più gravi spesso fatali che l’uso di anfetamine, anche sporadico o a basse dosi, possono indurre riguardano l’insorgenza di ictus o emorragie cerebrali e di convulsioni secondarie all’ipertermia. Altri danni noti sono rappresentati dall’insorgenza di miocarditi, vasculiti (soprattutto in chi la utilizza endovena) e gravi patologie polmonari in chi la fuma. Ma forse il danno più grave per la persona dipendente è rappresentato da una sorta di “morte sociale” (come spesso in tutte le forme di dipendenza grave) indotta dalla grave perdita della qualità di vita per l’azzeramento dei rapporti familiari e sociali più in generale e la perdita del proprio ruolo/status sociale e lavorativo.

Ciò, non solo per il persistere dei comportamenti di abuso legati alla dipendenza e al bisogno di assunzione, ma anche spesso per il persistere, anche per anni, di sintomi psicotici e paranoidei che rappresentano gli effetti psichiatrici più gravi nei consumatori cronici. È divenuta famosa qualche anno fa la formulazione chiamata gergalmente “meth” o “crystal meth” per gli effetti sul fisico e l’aspetto dei consumatori per diversi fenomeni: il calo di peso e della massa muscolare per la riduzione dell’appetito caratteristico di queste sostanze; la comparsa di ulcere, pustole e lesioni cicatriziali varie al volto come conseguenza dei fenomeni di scarificazione e grattamento portati avanti dal soggetto stesso spesso in preda ad allucinazioni visive e somatosensoriali (tipica è la sensazione di avere piccoli insetti sulla pelle) e per il consumo della dentina che ricopre i denti come conseguenza di bruxismo o digrignamento cronico della mandibola, associato alla xerostomia (secchezza delle mucose orali) conseguente all’uso della sostanza e alla pessima igiene orale che contraddistingue queste persone, il tutto contribuendo alla acidificazione del cavo orale.

Notate una progressione dei casi di persone dipendenti da queste sostanze?

Nella mia personale esperienza clinica non ho notato una significativa progressione dell’incidenza di questo tipo di dipendenze. Tenendo conto che è particolarmente utilizzata in certi contesti legati alla vita notturna e al divertimento, l’uso di queste sostanze è prevalente nella fascia di età compresa tra i 15 e 40 anni. Come club drugs vengono spacciate nelle discoteche e locali notturni e sono usate da soggetti in genere “sani” che non hanno usualmente rapporti con il mondo sanitario (il proprio medico di base, l’ospedale o specialisti, tra cui appunto gli psichiatri) motivo per cui giungono all’osservazione ospedaliera o ambulatoriale solo in caso di verifichino gravi conseguenze legate all’assunzione. Sono molto più frequenti i casi di dipendenza da cocaina, lo stimolante più utilizzato sicuramente nella popolazione.

Chi sono, giovani, giovanissimi o altro? Più maschi o femmine?

Nella mia esperienza si tratta essenzialmente di maschi, tra i 15-20 anni ma anche 30-40 enni. Raramente la metanfetamina è l’unica o elettiva sostanza d’abuso. Più frequentemente l’uso di anfetamine è solo accessorio all’uso di altre sostanze (questo in quanto nella maggior parte dei casi giunti all’osservazione si registra un comportamento di poliassunzione) cocaina in primis e limitato a certi contesti o frequentazioni (clubbing).

Le utilizzano in compagnia e nel fine settimana o per specifiche finalità. Mi è capitato di conoscere un paziente che dopo un uso assiduo in contesti notturni ha cercato di smettere incorrendo però nella perdita totale di interesse per ogni cosa compreso l’appetito sessuale. Mi confidò che per lui, prima di intraprendere una cura, l’unico modo di tornare a provare piacere era di assumere microdosi di anfetamina prima dei suoi incontri sentimentali o sociali a cui teneva particolarmente.

È una dipendenza che può essere curata con efficacia?

Curare questo tipo di dipendenze non è semplice. La dipendenza patologica è una malattia complessa, cronica e recidivante spesso ad eziologia multifattoriale. Molti aspetti possono incidere sull’esito di un percorso di cura (dei danni subiti sia psichici che fisici) e recupero (delle abilità, qualità di vita e ruolo sociale), sia essa comportamentale, psicoterapeutica o residenziale.

Ci sono consumatori che non hanno nessuna motivazione a chiedere aiuto in quanto non riconoscono l’esistenza di un problema d’abuso o dipendenza, con essi di dovrà lavorare innanzi tutto sulla consapevolezza e sulla motivazione aiutandoli a problematizzare il loro comportamento. Ciò è possibile coinvolgendo i familiari e tramite di essi o coloro che sono a più stretto contatto con il soggetto in quanto come detto questo tipo di paziente è solo un potenziale paziente in quanto non si presenta da sé al cospetto del medico. Non infrequentemente mi trovo ad accogliere i genitori di questi ragazzi e ad aiutarli attraverso un approccio psicoeducativo a “prendere le misure” su come ottimizzare i loro sforzi indirizzandoli nella direzione più corretta per aiutare i figli.

Ci sono poi i pazienti che si presentano dal medico, ma cercano un compromesso, ovvero consapevoli di correre dei rischi cercano una via di mezzo, di limitare i danni, per esempio, informandosi sui danni delle sostanze, sulle conseguenze medico legali tradendo però sempre una ambivalenza di fondo che gli impedisce di fare una scelta di campo chiara e netta. Questi pazienti spesso perdono molte “occasioni” per curarsi a volte impiegando anni prima di giungere ad una maggiore consapevolezza e ad una decisione. È in questi casi che una solida preparazione psicoterapeutica può rivelarsi utile nell’aiutarli a elaborare la loro ambivalenza. Nella mia attività ambulatoriale è capitato di incontrare pazienti che mi chiedessero vie alternative allo sballo indotto dalle sostanze da abuso o più sicure, per esempio richiedendo farmaci che potessero imitarne gli effetti “positivi” ma risparmiandoli da quelli gravi e negativi. Oppure chiedendo consigli su come poter continuare ad usarne evitando di incappare nella dipendenza o come assicurarsi una sorta di immunità dall’esposizione ai rischi connessi.

Ci sono infine i pazienti che hanno già attraversato le fasi precedenti e sono pronti a chiedere aiuto e ad avviare un percorso di cura. Si mostrano più consapevoli e in contatto con “il buco nell’anima” che si portano dentro e che li ha condizionati per tanto tempo portandoli spesso quali all’annullamento di sé. Per questi pazienti vi sono diverse linee di cura, a volte non possono prescindere da un passaggio in clinica dove vengono aiutati a disintossicarsi o in comunità terapeutica soprattutto se vi sono concomitanti disturbi di personalità o peggio di natura psichiatrica. Ovviamente questo è il profilo che ha le maggiori chances di successo soprattutto se il percorso è portato avanti con continuità e per tutto il tempo necessario, integrando e combinando approcci e strumenti terapeutici differenti. Gli studi internazionali condotti in merito e pubblicati in letteratura confermano che uno dei maggiori fattori incidenti sulla probabilità di successo è legata in primis al tempo di cura. Guarire significa in realtà continuare a “curarsi”, prendendosi cura di sé giorno dopo giorno, senza illudersi di potersi un giorno dimenticare tutto lasciandosi alle spalle quella vita, in una sorta di guerra personale per la vita, contro un nemico subdolo e sfuggente: sé stessi.

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