Zemmour al voto contro Macron: ordine e sicurezza per superare l’islam delle banlieue

Eric Zemmour è il giornalista e intellettuale pubblico di stampo conservatore più noto di Francia. Le sue idee hanno suscitato reazioni accanite, polemiche feroci ed entusiasmi potenti negli ultimi anni. Soltanto in Francia, il Paese in cui la funzione dell’intellettuale nella vita pubblica è la più forte al mondo, poteva nascere in modo quasi spontaneo e dal basso una ipotesi di candidatura alla presidenza della Repubblica per un personaggio così fuori dal coro e dalla stessa politica. Parliamo di un uomo conosciuto e letto da milioni di persone, con libri tradotti in molteplici lingue e costante presenza televisiva. Oggi Zemmour, che non ha ancora ufficialmente annunciato una candidatura, nei sondaggi viene dato al 15-18%. Un consenso che, se fosse confermato da una candidatura ufficiale, distruggerebbe la prospettiva politica del Front National e dei gollisti e potrebbe addirittura proiettare Zemmour a un probabile ballottaggio con Emmanuel Macron.

Cosa propone Zemmour? In un dibattito con il suo sodale intellettuale Michel Onfray di qualche giorno fa emergono le linee della nuova offerta di destra proposta dall’editorialista de Le Figaro. Zemmour vuole il riscatto della France peripherique, quella delle piccole città e della campagne, spaventata dal multiculturalismo e desiderosa di sicurezza. Il pensatore francese vuole ribaltare l’agenda della politica, ha in mente altre emergenze rispetto a quelle proposte dai partiti centristi e progressisti. Zemmour non parla di pandemia, non parla di ambiente, non parla di welfare e diritti civili. Considera l’immigrazione, e la creazione di quartieri in cui la legge dello Stato francese viene rimpiazzata da quella islamica, il principale problema della Francia. Gli immigrati aumentano sia sul piano dei flussi che della demografia, l’integrazione (che i francesi chiamano “assimilazione”) diventa difficile e le organizzazioni criminali si rafforzano attingendo a questo capitale umano disperato, il fondamentalismo si radica preparando la via sia al controllo territoriale che a nuovi attentati. Il tema non è peregrino nella politica francese che deve rispondere ad una società multietnica e multi religiosa, con disagi sociali ed estremismo religioso. Lo stesso Macron è stato più volte messo sotto pressione dai vertici dell’esercito negli ultimi mesi affinché i presidi militari siano rafforzati. Zemmour parla a una Francia che non riesce a dimenticare la strage del Bataclan e che teme l’incandescenza sociale e religiosa delle banlieue. La sua prospettiva è hobbesiana: al rischio di una guerra civile (e di civiltà) interna si deve rispondere con ordine e sicurezza. L’unica politica perseguibile è quella della “immigrazione zero”, stop assoluto a nuovi arrivi e aumento dei rimpatri dei migranti irregolari. Il giornalista propone interventi diretti dell’esercito e della polizia, di accrescere la presenza nelle strade di uomini armati. Un militarismo necessario per garantire la sicurezza dei francesi. Zemmour dichiara apertamente di ispirarsi al generale De Gaulle. Detesta i livelli intermedi di governo (regioni e dipartimenti dove si annidano sprechi e lottizzazioni dei partiti), crede soltanto nello Stato centrale e nel federalismo municipale. Vorrebbe una democrazia disintermediata con il ritorno ad un utilizzo più frequente dei referendum proprio come nell’era gollista.

Poi ci sono le questioni etiche e culturali per cui Zemmour si batte da anni. Il controllo del linguaggio da parte dei progressisti, il catechismo del politicamente corretto, la rivendicazione della libertà assoluta nel disporre del proprio corpo (aborto ed eutanasia), il transumanesimo per modificare a piacimento la propria persona. Contro tutto ciò il nuovo movimento conservatore si scaglia. Sull’Europa però lo scaltro giornalista non cade nella trappola del no-euro: nessuna Frexit, si resta nell’Unione come Paese fondatore e fondamentale. Si coltiva l’idea del generale De Gaulle, un’Europa dall’Atlantico agli Urali. E dunque una Francia che si proietta dal Mediterraneo verso i Paesi di Visegrad e la Russia, Paese con cui deve riprendere una piena libertà commerciale secondo Zemmour. L’Unione europea deve essere più autonoma ed indipendente nel nuovo spartito mondiale tra Cina e Stati Uniti. Ma forse ciò che è più interessante del discorso sono le sue modalità. L’intellettuale conservatore non fa comizi, ma lunghi dialoghi con altri protagonisti della cultura francese. Non parla di economia, amministrazione, servizi ma di civiltà e valori. Non è interessato alla tecnica di governo, ma alla protezione dell’identità francese. E nonostante questa apparente “impoliticità” raccoglie consensi e raduna migliaia di persone. È un messaggio poco pragmatico forse, ma dall’eco millenarista. L’esatto opposto dello stile Macron: freddo, chirurgico, concreto. L’intellettuale di destra chiama a raccolta i fondamenti comuni della nazione, ne tocca le corde e i sentimenti, sposta l’oggetto del dibattito sul piano della religione, della civiltà e della identità. Zemmour molto probabilmente non diventerà presidente della Repubblica francese, ma l’innovazione del suo messaggio ha già cambiato i piani della politica francese. Nessuno riesce ad essere così radicale, popolare e colto allo stesso tempo. Un problema per la sinistra, culturale oltre che politico.

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